Cerca

I numeri

In coda alla classifica del PIL

La provincia di Frosinone al 74° posto, con un valore aggiunto pro capite giornaliero stimato a 70,9 euro. Al primo posto Milano con 184,9 euro. A chiudere la graduatoria Barletta-Andria-Trani con 50,6 euro

In coda alla classifica del PIL

Il Pil italiano del 2025 è stimato a circa 2.244 miliardi di euro, che in termini di reddito giornaliero corrisponde a poco più di sei miliardi. Ciò vuol dire che, includendo l’intera popolazione, compresi bambini e anziani, l’importo pro capite giornaliero medio nazionale ammonta a 104 euro. Guardando al contributo delle singole province, emergono, però, significative differenze territoriali. La provincia di Frosinone, che occupa il settantaquattresimo posto della classifica provinciale per valore aggiunto per l’anno 2025, incide con un contributo per abitante pari a 70,9 euro.

Il valore aggiunto, che corrisponde al Pil al netto delle imposte indirette, in Ciociaria è infatti stimato a 11.963 milioni di euro. Considerando, dunque, i suoi 462.000 abitanti e un valore aggiunto per abitante totale di 25.875 euro, quello giornaliero complessivo corrisponde a circa 33 milioni. I numeri, estratti da un’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia su dati Prometeia e Istat, raccontano dunque una provincia che, collocandosi nella fascia medio-bassa della graduatoria, si trova in una condizione di ritardo rispetto alla media nazionale e in linea con quella del Sud Italia. Analizzando il Paese per aree, infatti, a fronte di una media nazionale di 104 euro giornalieri pro capite, dallo studio della Cgia emerge che a trainare il Pil ci sono le regioni del Nord Ovest, con 128,1 euro al giorno per abitante, seguite da quelle del Nord Est, con 121,9 euro, del Centro, con 111,7 euro, e del Mezzogiorno 69,7 euro.

Lo scenario

A livello provinciale il contributo per abitante più elevato arriva da Milano con 184,9 euro. Nei primi cinque posti della classifica si trovano, poi, Bolzano con 154,1 euro, Bologna con 127,6 euro, Roma con 122 euro e Modena con 121,3 euro. La graduatoria prosegue, poi, con Aosta al sesto posto con 120,4 euro, Firenze con 119,8 euro, Trento con 119,5 euro, Parma con 115,4 euro e Reggio Emilia con 113,7 euro. Nella parte bassa della classifica, invece, si trovano Enna, con un valore aggiunto pro capite di 53,5 euro per abitante, Agrigento con 52,8 euro, Vibo Valentia con 51,5 euro, Sud Sardegna con 50,8 euro, Cosenza con 50,7 euro e, infine, Barletta-Andria-Trani con 50,6 euro.

Al netto della Città Metropolitana di Milano che, come ricorda la Cgia, conta oltre 3,2 milioni di abitanti ed è considerata la più importante area industriale e finanziaria del Paese, delle prime venti posizioni della classifica nazionale, ben tredici sono occupate dalle province del Nordest (Bolzano, Bologna, Modena, Trento, Parma, Reggio Emilia, Vicenza, Trieste, Padova, Verona, Treviso, Belluno e Piacenza), mentre sono quattro quelle occupate dalle province ubicate a Nordovest (Aosta, Genova, Brescia e Bergamo).

Il ruolo delle Pmi

Dalla graduatoria provinciale stilata dalla Cgia di Mestre si evince, dunque, come le realtà geografiche in cui la presenza delle Pmi è più diffusa sono anche quelle più virtuose dal punto di vista economico. «Negli ultimi trentacinque anni – sottolinea l’ufficio studi dell’associazione degli artigiani e delle piccole imprese – le retribuzioni medie degli italiani sono rimaste al palo, mentre in quasi tutta l’UE sono aumentate. Tra le cause del risultato italiano sono da annoverare la crescita economica asfittica – prosegue – e un basso livello di produttività del lavoro che dal 1990 hanno interessato il nostro Paese, soprattutto nel settore dei servizi. Una delle ragioni di questo risultato va ricercata anche nel fatto che, a differenza dei nostri principali concorrenti europei, in questo ultimo trentennio la competitività del nostro Paese ha risentito dell’assenza delle grandi imprese. Nonostante ciò – precisa la Cgia – in questi ultimi decenni l’Italia è rimasta tra i Paesi economicamente più avanzati del mondo e questo lo deve quasi esclusivamente alle sue Pmi».

Pur con i noti limiti, quali l’alta intensità di lavoro, a fronte di livelli di produttività non elevatissimi e retribuzioni più contenute rispetto alle aziende di dimensioni superiori, e livelli di investimenti in ricerca e sviluppo inferiori a quelli in capo alle grandi realtà produttive, le micro piccole e medie imprese, infatti, continuano a distinguersi per le loro performance economiche e occupazionali, «dominando – come rimarca la Cgia di Mestre – buona parte dei mercati internazionali anche grazie alle produzioni made in Italy».

Edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione