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Arce

«Promessa mantenuta». Guglielmo, il vero esempio

Una valanga di emozioni dopo la sentenza della Suprema Corte. De Santis: una scelta necessaria. Salera: un grazie al lavoro degli inquirenti

«Promessa mantenuta». Guglielmo, il vero esempio

«Il mio pensiero è stato per Guglielmo. Ho pensato a quando nell’orazione funebre in conclusione dissi “Non hai avuto giustizia fino ad ora, ma l’avrai”. Ecco, la decisione di affrontare un nuovo processo d’appello è un risultato positivo che si inquadra con la promessa che ho fatto a Guglielmo». Una «promessa mantenuta, per ora» ha aggiunto l’avvocato di Guglielmo nonché suo grande amico, Dario De Santis. Che in quell’assolata giornata di giugno del 2020, in una piazza di Arce gremita, aveva ricordato con grande trasporto la battaglia del papà coraggio. Di quel padre che si era battuto per tutta la vita «con incrollabile perseveranza e forza. Tanto che il suo comportamento e la sua figura – aveva affermato De Santis – vanno al di là della vicenda giudiziaria nella quale si è mosso. Al di là del suo impegno in ogni singolo procedimento, egli è diventato un emblema per tutti gli italiani».

La decisione della Corte di Cassazione di annullare la sentenza di assoluzione d’appello nei confronti della famiglia Mottola (già assolti anche in primo grado) e rinviare a una Corte in altra composizione - per un processo d’appello bis - ha tratteggiato «una pagina di giustizia da una punto di vista formale e sostanziale» per lo storico difensore di papà Guglielmo, che ha ribadito come tecnicamente «andava fatto così». «Ora, per gli esiti sostanziali, occorrerà attendere» ha aggiunto. «Promessa mantenuta, sì per il momento. Sono soddisfatto di un esito giusto, come sottolineato anche nella mia richiesta finale alla Corte». Proprio De Santis, nel suo intervento in aula, ha infatti lanciato ai giudici un appello ben preciso: «Non lasciate che questo caso si chiuda senza che sia stato fatto quanto possibile sul piano istruttorio e senza che sia stato vagliato e scritto tutto ciò che si può e si deve sul piano della motivazione. Almeno questo lo Stato lo deve a quel padre che si è consumato nell’attesa e nel desiderio della verità e della giustizia. E ai familiari, che continuano questa battaglia».

Il testimone del papà coraggio è stato afferrato a piene mani dalla sorella di Serena - assistita dagli avvocati Sandro Salera e Antonio Iafrate - così come dallo zio, Antonio. Alla lettura del dispositivo tutti gli sguardi sono stati proprio per Consuelo, che con i suoi occhi azzurri come quelli di Guglielmo e di Serena, sa bene la direzione in cui guardare. Consuelo, che prima della morte dell’amato papà ha sempre preferito restare lontana dai riflettori, ha invece mostrato un coraggio e una forza straordinari. All’uscita dall’aula ha risposto ai cronisti: «Il mio pensiero dopo la sentenza è andato a papà. In questo momento non posso che pensare a mio padre e a mia sorella. Confidiamo e speriamo nella giustizia per avere la verità sulla morte di mia sorella. Sono 24 anni che aspettiamo». Accanto a lei, la sua difesa. Gli avvocati Sandro Salera e Antonio Iafrate che con determinazione, preparazione e straordinaria umanità l’hanno guidata nelle lunghe fasi processuali fino ad arrivare ai giudici della Suprema Corte.

«Il mio pensiero è andato subito a Consuelo e a Guglielmo e alla loro impareggiabile forza. Siamo indubbiamente soddisfatti per la sentenza dei giudici della Corte di Cassazione - ha commentato l’avvocato Sandro Salera - Voglio anche esprimere un doveroso ringraziamento al lavoro encomiabile della Procura della Repubblica di Cassino che finalmente è stato riconosciuto appieno con questa sentenza, perché tutto ciò che è stato fatto prima è stato finalmente valorizzato e apprezzato dalla Procura generale e quindi dalla Corte di Cassazione. Ora siamo pronti, motivati e già in pista per il nuovo processo d’appello».
«Dopo la sentenza ho rivolto uno sguardo al cielo e ho pensato a zio Guglielmo, al papà-coraggio che ha trascorso tutta la sua vita alla ricerca della verità per la sua amata bambina. Ho pensato che per tanti anni ha perseguito una strada convinto che quella strada fosse giusta» ha commentato Gaia Fraioli, cugina di Serena, presente come sempre in questi 24 anni. Anche martedì davanti alla Corte di Cassazione: due gli striscioni affissi per chiedere ancora una volta giustizia oltre al sit-in pacifico.

«Oggi abbiamo un lume che la illumina e che ci fa pensare che forse è davvero la strada da intraprendere. Serena merita giustizia e noi non ci arrenderemo mai. Ci affidiamo ai professionisti del settore e al nostro pool difensivo, affinché venga fatta luce su questa triste storia - ha continuato - Lo Stato italiano dovrebbe garantire alle famiglie delle vittime tutela e certezze della pena. Dopo 24 anni siamo ancora qui ad aspettare e a sperare che prima o poi chi ha sbagliato paghi per quello che ha fatto. Purtroppo Serena non tornerà mai con noi, ma chi le ha tolto la vita deve essere condannato. Se zio fosse stato con noi, sicuramente sarebbe stato felice della lettura della sentenza ma allo stesso tempo sarebbe stato stanco di tutti questi anni passati a lottare e aspettare. La giustizia dovrebbe essere garantita a prescindere e non inseguita».

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