Spazio satira
Frosinone
10.09.2024 - 19:00
Un'immagine della città di Frosinone dopo i bombardamenti dell’11 settembre 1943 e l’ingresso dei soldati alleati
L’11 settembre non rievoca solo il tragico abbattimento delle Torri gemelle di New York del 2001, ma è anche, nella nostra Ciociaria, una data che ci ricorda il sanguinoso e distruttivo bombardamento della città operato dalle forze alleate nel 1943. Paolo Sbarbada, storico frusinate, ci guida nel ricordo del cruento fatto della II guerra mondiale.
Paolo, ci descrive la cornice storica del famoso bombardamento di Frosinone del ’43?
«Il 25 luglio viene arrestato Benito Mussolini e, contemporaneamente, viene nominato capo del governo il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Caduto il fascismo, l’Italia piomba in un caos organizzativo, militare e politico preoccupante. Il 3 settembre viene firmato a Cassibile, in Sicilia, un armistizio che sancisce la resa incondizionata del Regno d’Italia agli Alleati. L’accordo è reso pubblico, per volontà delle parti, l’8 settembre e ha, come conseguenza, l’invasione dei territori del Regno da parte delle forze armate tedesche e l’inizio della Resistenza, la guerra di liberazione di una parte dell’Italia contro il nazifascismo. Tra le città occupate dai nazisti c’è anche la nostra città».
Perché Frosinone interessava ai tedeschi?
«La sua posizione divenne in breve il punto più importante della rete di comunicazione tedesca delle retrovie del fronte di Cassino, comodamente collegata inoltre, con il Tirreno e l’Adriatico grazie alle due strade statali, la 214 e la 155 dei “Monti Lepini”, oltre all’importantissima “Casilina” che collegava il sud Italia a Roma. Per non parlare poi della linea ferroviaria Roma-Cassino di cui la stazione di Frosinone rappresentava per i tedeschi il cardine del collegamento ferroviario con la capitale. A causa di questa posizione strategica divenne obiettivo fondamentale delle forze aeree e terrestri alleate che avanzavano verso Roma. Dopo l’Armistizio i tedeschi occuparono l’aeroporto militare “Girolamo Moscardini”, requisirono inoltre gli allora prestigiosi alberghi “Bellavista” e “Garibaldi”, il Distretto militare che venne destinato alla detenzione dei prigionieri di guerra alleati diretti verso i campi di concentramento del Nord Italia e la caserma “Guglielmi”. Distaccamenti tedeschi vennero sistemati in altri punti della città, nel palazzo della Prefettura, nella Caserma dei Reali Carabinieri, nell’edificio scolastico “Tiravanti “, nel palazzo degli autoservizi “Zeppieri” e in quello della “Gioventù Italiana del Littorio” al Campo sportivo. Batterie contraeree vennero posizionate un po’ dappertutto come sulla collinetta di “Selva dei Muli”, a ridosso della stazione ferroviaria, e nella villa “Parisini” nel punto più alto di via del Cipresso».
Come inizia il bombardamento?
«Rispondo con le parole del compianto prof. Luciano Renna (storico e brillante giornalista frusinate, nonché professore per tanti anni al liceo classico “Norberto Turriziani, scomparso nel 2005, ndr): “Erano le ore 21 dell’11 settembre 1943. Con mia madre, di ritorno dalle vacanze, mi ritrovai nell’androne d’un caseggiato, proprio alle spalle della chiesa di Sant’Antonio: quella fatta fuori dopo la guerra – e non si sa ancora bene perché – in cui don Valentino seguiva i fedeli della zona. Ero, in pratica, sotto quel “mostro” di cemento scuro, sede del Norberto Turriziani, oggi solo Liceo Classico, che, fiato sospeso, raggiungevo tutte le mattine, evitando i grandi, per entrare nella mia classe della Scuola Media Ricciotti, dove ad attenderci c’era la professoressa Cavazzuti, curatissima nei suoi boccoli neri a cascatella… Alle 22:00 circa la sirena dell’allarme aereo posta sul campanile della cattedrale di Santa Maria cominciò a suonare e una massiccia formazione di bombardieri inglesi della Royal Air Force entrò in azione” (da “Una vita al Turriziani”, in Annuario 1929-2001 del Liceo Ginnasio Statale “N. Turriziani” Anno scolastico 2000-2001, Tip. Bianchini, Frosinone 2002)».
Quali furono le conseguenze?
«Le bombe caddero ovunque colpendo in particolar modo il centro storico, dal Liceo classico al convento delle Suore Agostiniane di via Cavour, l’Ospedale, che si trovava allora in via Diamanti, e via Garibaldi. Il quartiere San Martino venne quasi raso al suolo registrando il più alto numero di morti e feriti. Per fortuna la maggior parte dei cittadini aveva già abbandonato le proprie abitazioni la sera precedente, altrimenti il numero delle vittime sarebbe stato decisamente più elevato. Gli abitanti che decisero di non lasciare la città, trovarono rifugio in ricoveri occasionali nella periferia, oppure nei tunnel delle “Ferrovie Vicinali”, a ridosso dell’attuale chiesa di San Antonio, o in quello dell’Alberata».
A proposito dei due tunnel, abbiamo una testimonianza di padre Francesco Tatarelli, redentorista presso il Convento delle Grazie, nel libro “La morte viene dall’alto – Frosinone nel turbine della guerra”, edizione 1978: «Le mura trasudavano abbondantemente di umidità; i piedi si muovevano in una mota viscida e incredibilmente sudicia; il fumo dei fuochi accesi per cuocere cibi, non avendo uno sbocco nell’aria libera, si addensava nell’ambiente basso, rendeva l’aria irrespirabile e bruciava agli occhi».
Giova ricordare anche la tragica testimonianza di don Luigi Minotti, parroco della cattedrale di “Santa Maria” dal 1939 fino al 1984: «Arrivato in piazza Garibaldi trovai quasi nuda la barista Maria Antonelli che, colpita al ventre, gridava aiuto. Corsi subito al rifugio e chiesi se c’era qualcuno di buona volontà che volesse andarla a prendere. Si prestarono il signore Ademaro Gennari, allora soldato, e Lillino Filoni: adagiata la ferita su una seggiola a vimini, la portarono al pronto soccorso dell’ospedale dove fu medicata dall’infermiere Armando Conti e quindi sul far del mattino avviata all’ospedale di Alatri. Mi portai dopo al Colle Campagiorni e, nella parte alta, in mezzo alla strada, rinvenni, morto, l’agente di pubblica sicurezza Fabrizio D’Ulizia, a me ben noto. Sentivo grida e salii sulla casa da dove esse venivano: ferito gravemente a una gamba trovai suo figlio Giorgio che perdeva abbondantemente sangue. Mi tolsi allora la camicia e gli feci, come potei, una legatura che gli impedisse l’emorragia. Lo presi in braccio e lo portai al rifugio del Genio Civile dove chiamai l’infermiere Conti affinché gli facesse una accurata medicazione, come di fatto fece» (la testimonianza è tratta dall’intervista rilasciata ai giornalisti Leonardo Catalano e Maurizio Di Rienzo, trasmessa dall’emittente radiofonica “Ciociaria Uno” l’11 settembre 1978, ndr).
Il bilancio del bombardamento notturno in termini di vite umane quanto fu pesante?
«Si contarono venti caduti e un numero imprecisato di feriti che vennero trasportati negli ospedali di Alatri, Veroli e Sora, in quanto quello di Frosinone era inagibile. Nella drammatica notte si verificò anche l’inedita vicenda della signora Ida Turriziani, parente di mia moglie. Al suono delle sirene Ida, con il resto dei suoi parenti, abbandonò precipitosamente la sua abitazione in Corso della Repubblica spostandosi nella villa disabitata dell’architetto Petraia (professionista che contribuì alla realizzazione del Canale di Suez e dal quale prende il nome l’attuale strada, ndr), sul Colle della Prebenda. Cercarono di proteggersi fortificando il portoncino d’ingresso ma la zona risultò una delle più bombardate. Un ordigno deflagrò proprio lì davanti, sfondando il portoncino e uccidendo la sola signora Ida e risparmiando il resto dei rifugiati seppur con qualche ferito lieve. Oggi le spoglie di Ada riposano nella cappella di famiglia nel cimitero di Frosinone».
I bombardamenti non si fermarono all’11 settembre…
«Il giorno seguente fu la volta dell’aeroporto militare e delle zone limitrofe, che vennero pesantemente bombardate in pieno giorno, questa volta dall’aviazione statunitense con i loro potenti e distruttivi bombardieri B17 chiamati “Fortezze Volanti”. Se i danni inferti alle strutture aeroportuali non furono particolarmente gravi, il bilancio dei caduti militari tedeschi fu invece molto elevato. Si contarono ottanta caduti, fra il personale di volo, infermieristico, ecc.. e un numero imprecisato di feriti. I bombardamenti continuarono anche nei mesi successivi, aggravando ancora di più il bilancio di morte e distruzione, in tutto il territorio comunale. I danni alle infrastrutture, abitazioni, e edifici pubblici furono particolarmente pesanti e distruttivi. Quello che non riuscirono a distruggere gli aerei alleati, lo fecero gli stessi tedeschi facendo saltare ponti e edifici ancora in piedi, per impedire il transito dei veicoli alleati giunti ormai in prossimità della città».
Scrive il ferentinate Virgilio Reali (“Vicende di guerra”, Frosinone 1999), all’epoca allievo ufficiale alla Cecchignola, a proposito del bombardamento del 12 settembre: «Da Ferentino vedemmo Frosinone bombardata dalle fortezze volanti. Tutta la cittadina era immersa nel fumo, da cui emergevano lingue di fuoco, e giungevano boati assordanti» (la scena sembra tratta dalla “Guernica, celebre dipinto di Pablo Picasso, ndr).
Oltre alle vittime…
«Alla fine della guerra, dopo la liberazione della città avvenuta il 1° giugno del 1944 a opera dei soldati canadesi della 1° Divisione di Fanteria, Frosinone ebbe circa l’83% del patrimonio abitativo distrutto o inagibile, risultando uno dei capoluoghi di provincia più devastati in Italia. "The city is empty and in ruin", furono le prime parole dell'ufficiale al comando del reparto di soldati canadesi, i primi ad entrare a Frosinone dopo la ritirata dei tedeschi; ma “La città è vuota e in rovina” è anche il titolo del prezioso volume dell’indimenticato storico ciociaro, Maurizio Federico, scritto a quattro mani con Costantino Jadecola».
Dal bombardamento si salvò miracolosamente il campanile, simbolo dal 1147 dell’orgoglio, della tenacia e della voglia di ricostruzione dei bellatores frusinati. «La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire» (Albert Einstein).
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