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Arte e colore

Avanguardie artistiche, ovvero la casa dell’arte

I nuovi linguaggi e il mercato che cambia. A tu per tu con il gallerista cassinate Luigi D’Agostino

Luigi D’Agostino

Il gallerista cassinate Luigi D’Agostino

Scoprire nuovi artisti o perpetuarne il successo e, soprattutto, divulgarne l’opera tra il pubblico, è l’attività che Luigi D’Agostino svolge a Cassino insieme ai suoi compagni di avventura. In effetti sono tanti gli ostacoli a tale impresa in un periodo 5.0, dominato dalla tecnologia, dalla digitalizzazione e dalla virtualità, per non parlare dell’incombente intelligenza artificiale, mostruosa negazione – o evoluzione? – dell’unicità artistica. In fondo tutti “facciamo” arte e tutti siamo spettatori di un fenomeno iniziato con i graffiti preistorici e che non finirà mai: occorre però qualcuno che ce lo ricordi, e quel qualcuno, oggi, risponderà alle nostre domande.

Luigi D’Agostino, quando, come e perché nasce la sua galleria?
«La “Galleria Avanguardie Artistiche” nasce nel 2016 dalla fusione di tre distinte realtà, la “Cristiano Art Gallery” di Cristiano Tomassi, l’associazione culturale “ARS Interamna” di Antonio Evangelista e la mia “SAMOcollection”. Tutti e tre eravamo spinti dal forte desiderio di promuovere eventi culturali e artistici di assoluto livello per la città di Cassino e per il territorio del Lazio meridionale».

Perché “Avanguardie”?
«Perché è il termine giusto per chi vuole essere tra i primi a proporre l’arte che un domani sarà rappresentativa di un’epoca. Gli artisti che trattiamo come galleria sono diversi. Proponiamo al pubblico sia maestri storici che vantano un percorso di critica, espositivo e storiografico, che artisti giovani che iniziano ad affermarsi nel panorama contemporaneo delle arti visive, unitamente ad artisti in erba che vogliono cominciare a farsi conoscere dal grande pubblico».

La domanda è inevitabile: sono presenti anche artisti del territorio?
«Certamente sì, penso su tutti ad Alessandro Nardone, un bravissimo iperrealista di matrice storico-sociale, che ha alle spalle un percorso di tutto rispetto. C’è da dire però che il nostro è un territorio molto ampio e la realtà artistica è abbastanza diffusa ma purtroppo frammentata. Ciò che manca, forse, è la capacità, da parte delle nuove generazioni di artisti di unirsi in movimenti che portino avanti un discorso unitario o che sviluppino dei nuovi linguaggi da porre all’attenzione del grande pubblico».

Quali sono le caratteristiche del mercato dell’arte attuale?
«Il mercato è decisamente cambiato negli ultimi vent’anni. L’avvento del web ha stravolto le vecchie logiche stanziali di galleria. Fino ai primi anni 2000 l’acquisto di un’opera avveniva quasi esclusivamente negli spazi espositivi delle gallerie, vigeva un meccanismo basato sulla fiducia nel gallerista, che veniva visto come un esperto conoscitore della storia dell’arte e del mercato. Così facendo gli artisti avevano quotazioni stabili e garantite. Con l’online, invece, gli artisti hanno iniziato a proporsi da soli, a vendersi autonomamente, ma in modo inefficiente. Inoltre questo meccanismo ha interessato anche i collezionisti, che molto spesso finiscono per divenire mercanti abusivi che mortificano i valori di tanti artisti per mera e spicciola speculazione economica. Insomma, un sistema di sottomercato complesso e paludoso, che fa male ai canali di vendita ufficiali».

Quali sono gli altri canali di vendita in Italia?
«Dobbiamo tener presente che in Italia sono molto diffuse le televendite, che hanno formato generazioni di nuovi collezionisti e appassionati del settore, con un grosso volume e ricavo d’affari. Ovviamente le medie e grosse gallerie che vendono con un sistema più tradizionale reggono l’urto avendo una clientela esperta, alta e fidelizzata».

Che ne pensa del recente sbarco nel mercato delle criptovalute e degli Nft, certificati digitali ipoteticamente convertibili in euro?
«Il sistema delle criptomonete, così come quello della vendita dei titoli, sono usi abbastanza spregiudicati per l’acquisto di un bene d’arte perché non rispondono a dei valori o criteri economici ben precisi e sicuri rispetto a un bene artistico che, quando consolidato e storico, ha quotazioni reali e spesso in crescita. Sconsiglierei quindi queste operazioni imprudenti, affidandoci esclusivamente al vecchio sistema di pagamento in valuta tradizionale».

Consiglierebbe a un giovane di intraprendere la carriera artistica in Italia, oggi?
«Sì, soprattutto quando si ha un messaggio culturale nuovo da proporre con tecniche innovative. Bisogna però sapere che il mercato degli artisti giovani ed emergenti è attualmente in crisi per un doppio fattore: primo, il maldestro tentativo già citato degli stessi di proporsi e vendersi da soli attraverso internet, bypassando il sistema delle gallerie. Questo non consente una corretta crescita del loro percorso artistico né un effettivo controllo del loro mercato. Secondo fattore, la pigrizia intellettuale dei collezionisti italiani, che scelgono quasi sempre di investire le proprie risorse su nomi consolidati e storici, senza scommettere mai sul futuro delle giovani generazioni di artisti e senza ascoltare il fondamentale consiglio degli addetti ai lavori. Achille Bonito Oliva, uno dei più famosi critici d’arte al mondo, ha offerto un parametro giusto sul corretto funzionamento del mondo dell’arte: “L’artista crea, il critico storicizza, il gallerista espone, il collezionista tesaurizza”. Basta saltare soltanto uno di questi passi che la macchina si inceppa».

Da più parti si invoca “più cultura” nell’arte, è corretto?
«Chiedere più cultura nell’arte non significa nulla. L’arte è semplicemente uno specchio della società in cui viviamo. Gli artisti non vengono da un altro tempo o da un altro pianeta, vivono il nostro stesso mondo, con le esigenze, le difficoltà, gli umori e gli influssi che la civiltà odierna esercita su di loro. Certo, a loro è demandato l’illustre compito di proporre visioni e modelli differenti, che spesso finiranno per divenire di largo uso e consumo nelle generazioni a venire. Penso alla figurazione neo-concettuale di Renato Mambor che già negli anni 60 profetizzava l’impatto che la società globale e consumistica avrebbe avuto verso noi singoli individui, spersonalizzando le nostre coscienze critiche e trasformandoci in “omini statistici” o in semplici numeri. Ciò è clamorosamente avvenuto ai giorni nostri anche con l’avvento delle iperconnessioni telematiche di massa che tendono a mortificare l’offerta culturale per gli utenti, trasformandoli in individui depensanti con problemi nella semplice lettura e comprensione di un testo scritto. Lo sforzo a mio parere deve avvenire nell’abituare le masse a leggere, a informarsi, a studiare, ad appassionarsi alla storia e all’arte in generale. Creare questi presupposti sarebbe anche compito della politica. Ecco perché Cattelan prende a sberleffo il meccanismo dell’arte, della società e del mercato, proponendoci una banana appesa al muro con lo scotch. Evidentemente ci meritiamo questo ed è chiaro che l’artista spesso insegue logiche di marketing piuttosto che innovazioni culturali».

Ecco, “Comedian”, l’opera di Maurizio Cattelan…
«L’artista non ha inventato nulla di nuovo se non riprendere concetti dadaisti espressi già da Duchamp o Manzoni. Una sofisticazione intellettuale, una smaterializzazione del gesto artistico in un pensiero provocante e provocatorio. Un’opera, perché così bisogna pur sempre chiamarla, che riflette la mortificazione culturale del sistema dell’arte, sempre più soggiogato dalle logiche finanziare pilotate da gruppi di grossi investitori e speculatori. Cattelan tutto questo lo sa, così come sapeva che la sua banana sarebbe stata pagata centinaia di migliaia di dollari, perché anche lui è inserito nel meccanismo delle gallerie che contano, le quali a loro volta si appoggiano sulla grossa finanza. L’arte, ahimè, è anche questo. C’è da dire che Cattelan ha dato dimostrazione del suo talento in altri cicli e tematiche, questa banana è fin troppo pubblicizzata ed è forse una delle cose minori che abbia fatto».

A suo parere, quindi, una crosta ben pubblicizzata potrebbe avere più successo tra il pubblico di un’opera di un affermato artista?
«La pubblicità è tutto nel mondo dell’arte. Oggi le gallerie investono in pubblicità sui loro artisti, facendoli passare sulle riviste del settore, sponsorizzando le loro opere sui social – altra frammentazione del mercato – o proponendole in tv. Tutto questo crea interesse nel pubblico che è spesso spinto all’acquisto. Anche lì vale lo stesso discorso della società globale che mortifica lo spirito critico. È lo stesso meccanismo delle pubblicità sui prodotti commerciali che vediamo in tv, capaci di influenzarci in modo subliminale su un messaggio che alla fine facciamo passare per buono. Senza studio, senza approfondimento, non formeremo mai una nostra visione critica e un nostro modello aperto e plurale di pensiero, finendo per accettare quello degli altri, e gli altri sono i grossi speculatori del mercato che decidono quale artista debba crescere e quale, invece, debba essere fermato. Per interrompere questo processo è fondamentale l’educazione, la cultura e lo studio individuale».

Chi getterebbe dalla torre, un artista figurativista o uno astrattista?
«Devo dire che nella nostra galleria vendiamo senza problemi sia la figurazione che l’astrazione, spesso ibridata in artisti che propongono una neo-figurazione di matrice astratta. I nostri collezionisti sono abbastanza preparati e non sono fissati con un genere univoco, cercano la qualità. L’arte è un tutt’uno al di là del linguaggio e del significante dell’opera, alla fine conta il significato che genera l’aura artistica del lavoro».

Un’ultima domanda: su quali artisti punterebbe i suoi euro, ora?
«Non ho dubbi: la pop romana. Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Sergio Lombardo, Giosetta Fioroni, Renato Mambor, per citarne alcuni. Artisti che negli ultimi anni hanno avuto un notevole incremento dei valori di mercato e state certi che continueranno ad averlo nel prossimo futuro».

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