Spazio satira
L'intervista
23.07.2024 - 19:29
Valeria Garzia
Originaria del Molise e precisamente di Campobasso ma residente a Frosinone, Valeria Garzia da qualche anno si dedica alla prosa e alla poesia. Per conoscerla meglio le abbiamo rivolto qualche domanda.
Perché ha cominciato a scrivere racconti?
«Ho avuto da sempre l’abitudine di annotare pensieri o sensazioni ma senza conservare mai nulla, fino a quando, in un periodo emotivamente molto difficile, ho iniziato a scrivere questi frammenti in versi e in prosa, a scopo, diciamo, puramente terapeutico. Poi casualmente, grazie all’incontro con uno dei curatori del blog “O tempora o mores” che mi ha incoraggiata, li ho raccolti dando vita a microracconti che poi sono stati pubblicati sul blog. Quindi se dovessi dire perché mi stia dedicando a questa cosa direi semplicemente che mi piace. Mi piace l’idea di poter evocare un luogo oppure un colore, un suono, un odore, una sensazione, un sentimento. Soprattutto penso che la scrittura renda profondamente liberi, nel senso che ci consente di rimescolare le carte, cosa che, fortunatamente, non possiamo fare nella storia vera. In un’opera di fantasia, invece e sempre per fortuna, possiamo cambiare il nostro destino o quello di qualcun altro».
Diploma di maturità classica, laurea in scienze politiche, attività di consulenza finanziaria e poesia: quanta eterogeneità…
«In realtà non credo che sia un contrasto vero e proprio tra tutte queste cose. Mi piace sottolineare la matrice umanistica ma, dal mio punto di vista, una formazione versatile è sempre positiva: per usare un termine caro alla mia attività di consulenza finanziaria, la diversificazione è un elemento fondamentale per la cultura. Anche nella musica, mi piace suonare Mozart o Bach ma anche cimentarmi in uno swing o in un tango, o nel pop. Sicuramente senza gli studi classici non avrei avuto la meravigliosa opportunità di imbattermi nella letteratura greca e latina e francamente non sono convinta che l’esasperazione della specializzazione sia sempre un valore aggiunto. Siamo anche ciò che sappiamo e forse lo studio del passato, della letteratura, della filosofia e in particolare della storia renderebbe le persone migliori».
La sua prosa e anche la sua poesia si caratterizzano per gli amori mancati: non è mai previsto un lieto fine?
«In realtà raccontano più che altro di ferite, spesso provocate da abbandoni; quanto al lieto fine bisognerebbe prima chiedersi che cosa sia un lieto fine, perché ciò che è la fine di una storia non è che l’inizio di un’altra, senza soluzione di continuità, e lascia sempre spazio a interpretazioni assolutamente soggettive».
Quanto sono autobiografici i suoi racconti?
«I miei racconti contengono sicuramente molti elementi autobiografici, per il semplice fatto che non essendo una professionista della poesia posso scrivere soltanto di ciò che in qualche misura mi appartiene».
Un sentimento diffuso nei suoi racconti è la malinconia: è forse un accessorio della solitudine?
«Forse più che di malinconia io parlerei di disinganno e non credo che abbia necessariamente a che fare con la solitudine; magari banalmente alcune cose si osservano meglio in solitudine ma più che un sentimento, io lo intendo piuttosto come una condizione cosmica dell’esistenza».
Nelle sue trame si verifica spesso, nel finale, un evento imprevisto che sembra dare, invano, una luce alla protagonista: perché?
«L’epilogo spesso contiene un diversivo che nella maggior parte dei casi è un espediente per concludere una storia con un finale che resti in qualche modo lievemente aperto, incerto. Come del resto tutto è incerto e casuale, così lo è anche l’interpretazione di un evento; quindi in quello sprazzo di luce qualcuno potrà vedere una favilla che resiste, qualcun altro potrà pensare che invece si spegnerà a breve».
“Se Dio esiste l’ha composto Bach”: che significa questo passo di un suo racconto?
«L’incipit di “Bach”, racconto pubblicato nel 2023 da “O tempora o mores”, vuole introdurre una visione trascendente della musica. È incredibile come Bach o altri musicisti attraverso le loro note ci facciano percepire lo stesso ambiente, la stessa strada, gli stessi alberi, le stesse persone e la stessa vita in maniera completamente diversa, fondendo la nostra anima in quella del mondo come per un prodigio umanamente divino».
Conserva un sogno nel cassetto?
«I sogni nel cassetto di norma restano chiusi a chiave... Io però un piccolo sogno in un certo senso l’ho già realizzato, nel momento in cui ho avuto il coraggio, o l’impudenza, di rendere pubblico il mio prodotto, perché ciò significa che ho imparato a essere un po’ più indulgente con me stessa e meno preoccupata del mondo circostante». “E l’ombra da rabbiosa si fece dolorosamente liquida, convogliandosi in due grosse lacrime ferme sui bordi delle palpebre, come se non sapessero se venire fuori o farsi ricacciare indietro; scelsero di restare lì per un po’ confondendosi con un debole sorriso” (da “Roma”, “O tempora o mores”, 2024).
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