Valcomino
16.08.2025 - 13:00
Entrare a far parte del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è un’opportunità per i paesi limitrofi, come la nostra Pescosolido. Anche se il dibattito ha diviso la comunità. L’occasione è propizia per una chiacchierata di ampio respiro con il prof. Giovanni Cannata, presidente del Parco.
Quali sono le peculiarità, dal suo punto di vista, del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise?
«Indubbiamente la prima, e forse la più importante, è il fatto che il Parco sia un luogo in cui si realizza, dal 1923, anno in cui fu istituito l’Ente Autonomo Parco Nazionale d’Abruzzo, la coesistenza tra natura e attività antropica e socio-economica. Non siamo quindi davanti a un modello di parco di tipo nordamericano, caratterizzato da vaste aree senza popolamento umano, cosa che creerebbe sicuramente meno problemi gestionali. Certo, assistiamo anche a un declino demografico, in particolare nelle cittadine che insistono sulla dorsale appenninica, per motivi che nulla hanno a che fare con la compresenza del Parco. Anzi, forse, a tal proposito, una “crescita” del Parco potrebbe dar vita al ripopolamento umano e a un volàno di salutare economia…».
Il territorio del Parco è valutato in maniera indifferenziata?
«No, anzi, secondo la L. 394/91 nota come “Legge quadro sulle aree protette”, il territorio è articolato in quattro zone in base alle caratteristiche: riserve integrali, riserve generali orientate, aree di protezione e aree di promozione economica e sociale (ripartite, a loro volta, in zone per l’edilizia, zone per le attività agricole e per le attività di allevamento e le zone per gli interventi di riqualificazione). Questa ripartizione del territorio, in funzione delle caratteristiche ambientali e del valore della loro conservazione, viene chiamata tecnicamente “zonazione”».
Dopo la Legge istitutiva, l’iter legislativo si è fermato?
«No, perché occorrerà provvedere a redigere il Piano del Parco (lo strumento che ogni Ente Parco deve avere per gestire il proprio territorio, ndr), il Regolamento e il Piano Pluriennale Economico e Sociale».
Quali sono i progetti che intende realizzare nell’immediato?
«Attualmente stiamo lavorando al Piano del parco, che non deve essere visto come una gabbia, ma come uno strumento che aiuti a indirizzare nella maniera migliore l’uso del territorio, rispondendo a criteri di buona conservazione e di attenzione verso le attività antropiche presenti. Il lavoro non finirà certo qui perché occorrerà poi predisporre il Regolamento e il Piano Pluriennale Economico e Sociale. Quest’ultimo è di competenza della comunità del Parco, cioè l’organismo composto da Comuni, Province e Regioni compresi territorialmente nel Parco, cioè dalla parte politica della società».
Ha altri progetti, al riguardo?
«Quello che veramente ci manca è la formazione della governance dei parchi e, per esempio, l’istituzione della figura dell’esperto in reperimento fondi europei. Ecco, mi piacerebbe aprire una scuola ad hoc».
Ci fa un esempio di turismo non sostenibile?
«Non sono solo i motociclisti rombanti e strombazzanti che, semel in anno, turbano la serenità del Parco, quanto le masse di passeggiatori improvvisati che scarpinano spesso su percorsi non idonei e non segnati. Indubbiamente la massa porta soldi alle casse, private soprattutto, ma il danno che fa alla natura è per tutti e, a volte, non riparabile».
A proposito di danni, quali sono le specie più in pericolo?
«Sicuramente l’orso marsicano. Dal 1970 sono state rinvenute circa 140 carcasse di orso in tutta l’area centro-appenninica, con una media di 2,6 decessi di orsi/anno. Se si analizzano in dettaglio le cause di mortalità note, la maggior parte è riconducibile a casi di bracconaggio o accidentalmente collegate all'uomo. Aggiungerei poi l’ululone, la salamandra e la vipera di Orsini. Comunque il Parco è un ecosistema nel quale tutti i partecipanti, animali e vegetali, sono collegati tra loro e la minaccia di un singolo elemento si ripercuote su tutta la catena».
Si verificano talora contrasti con le comunità locali?
«Il pascolo si è modificato nel corso del tempo, prima era ovino e oggi è soprattutto bovino ed equino. Questo non è del tutto compatibile con la tutela del Parco, soprattutto se il pascolo è in sovraccarico. Per ogni ettaro di proprietà si avrebbe il diritto ad avere un certo ammontare di bestiame ma talora i sindaci affittano indiscriminatamente i terreni comunali per trarne entrate per i comuni. Un allevamento ben fatto, anche con una produzione minore ma di qualità certificata, è inserito in un marchio che sicuramente aumenta il valore del prodotto stesso, compensando le perdite economiche. Questo è solo un esempio ma se gli abitanti della Valle di Comino comprendessero questo aspetto attirerebbero il turismo di qualità che, in questo momento, costituisce una domanda molto forte».
Quali vantaggi comporterebbe l’adesione al Parco per un paese come Pescosolido?
«Innanzitutto si condividono territori sui quali difficilmente ci si possono svolgere attività, di qualunque tipo. A meno che non si intervenga violando la legge, per esempio con terrazzamenti, cementificazioni, deviazioni di corsi d’acqua, sterramenti… L’adesione alle aree protette, per esempio, dà diritto agli indennizzi ai cittadini per i danni causati dalla fauna selvatica, al ristoro alle imprese svantaggiate da un disastro naturale, all’inserimento del Comune in un sistema di turismo ambientale sostenibile, all’utilizzazione di un prestigioso marchio apponibile su mille prodotti… Forse dovremmo convincerci che il miraggio industriale del Basso Lazio è morto, che la Cassa per il Mezzogiorno è finita e che dovremmo provare qualche attività diversa come… il turismo ambientale! Ecco perché sono estremamente felice del proposito del Comune di Pescosolido».
Qual è, in definitiva, la minaccia più incombente per l’ambiente italiano?
«Parlerei più di minaccia globale, ed è il cambiamento climatico, che agisce, purtroppo, anche sul Parco. L’inquinamento ambientale delle grandi città, invece, costituirebbe un’opportunità per i parchi della dorsale appenninica, perché tanti cittadini preoccupati potrebbero ripopolare i paesi abbandonati. A patto di fornire loro servizi adeguati, autorizzati e finanziati da Enti territorialmente superiori…».
Ogni problema per il presidente, anzi, in questo caso per il professore, viene ricondotto a scelte politiche fatte dall’alto…
«Bisogna avere visioni ampie, e non limitate come quelle di chi ha istituito cento e più anni fa il parco… A proposito, concludo la preoccupante carrellata delle minacce ambientali con la perdita di biodiversità, l’inquinamento dei suoli e il dissesto idrogeologico».
Quali sono le misure da intraprendere nell’immediato per allontanare queste minacce?
«Mi dispiace, è dovere del ministro dell’Ambiente, e io non lo sono. Sicuramente, e questo è alla portata di ogni cittadino coscienzioso, occorrerebbe una maggiore informazione possibilmente corretta. E la corretta informazione va di pari passo con la corretta formazione, in particolare degli amministratori locali, i quali talvolta, ma per fortuna in pochi casi, indossata la fascia tricolore dimenticano i disegnini del lupo, dell’orso e delle margherite che avevano fatto alle elementari...».
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