08.08.2025 - 11:00
Hanno suscitato a lungo scalpore e, soprattutto, timore. Ieri sono diventati realtà. Una settimana dopo la data inizialmente annunciata, ieri a mezzanotte, ora di Washington, sono entrati in vigore i nuovi dazi Usa. In Ciociaria e nel Lazio il settore che più potrebbe essere colpito dall’imposta di importazione negli Stati Uniti al 15% - è questo il tetto dell’aliquota fissato per i prodotti provenienti dall’Unione europea - è il farmaceutico, che in provincia di Frosinone è un colosso dell’export, che a sua volta rappresenta il motore trainante dell’economia locale. Ma non di soli farmaci vive l’uomo. E nemmeno l’americano, che tanto apprezza i prodotti Made in Italy, soprattutto del settore agroalimentare. A rischiare grosso sono infatti anche le esportazioni di olio e vino, due prodotti fondamentali nei flussi commerciali verso gli Usa. La vera stangata, qualora non fosse escluso dalle merci sottoposte a dazio, sarebbe sull’olio che da un’imposta pari a zero passerebbe al 15%. Più contenuto l’incremento sul vino, anche se decisamente non irrilevante, che, partendo da una base già applicata del 5%, vedrebbe un incremento dell’aliquota del 10%. Ad analizzare lo scenario il presidente di Coldiretti Lazio David Granieri: «L’incognita ora - sottolinea - è sapere quali e quanti prodotti potranno entrare nella lista “zero per zero”.
Per il Lazio, in ogni caso, si tratta di una misura gravosa. Dopo tanti anni stavamo ottenendo buoni risultati in termini di export. L’aggravio ora sicuramente ci mette in difficoltà. Noi come organizzazione - prosegue il presidente di Coldiretti Lazio - abbiamo chiesto all’Europa dei termini compensativi». Tra le soluzioni per fare fronte ai nuovi dazi, infatti, si è parlato in molti casi di riconversione delle aziende su prodotti di diversa natura o destinazione di esportazione e di diversificazione dei mercati, guardando ad altri Paesi. Ma nella pratica e soprattutto per le piccole e medie imprese, è più facile a dirsi che a farsi.
Argomenta, dunque, Granieri: «Ciò che chiediamo all’Ue è un aiuto in più alle aziende a ristrutturarsi perché trovare mercati alternativi non è come premere un pulsante che si accende e si spegne a grande velocità, specialmente se parliamo di aziende piccole e poco strutturate. E questo - sottolinea - è mediamente l’identikit delle imprese laziali, sia per quanto riguarda la produzione di olio che di vino». E prosegue: «Ciò che, invece, stiamo chiedendo sia alla Regione Lazio sia al governo nazionale è la possibilità di finanziamenti ulteriori, per un modello di internazionalizzazione alternativo, che ci permetta di non abbandonare gli Statu Uniti. Perché comunque l’America - spiega - è sempre stato e sarà sempre un mercato di riferimento, dato anche il volume di consumatori. Contemporaneamente però - prosegue - bisogna tentare di sviluppare processi di internazionalizzazione che permettano alle imprese di compensare il fatturato che sicuramente perderanno».
Il presidente di Coldiretti Lazio ricorda, infatti, che gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato extra Ue per l’agroalimentare, così come la Germania è il mercato di riferimento all’interno dell’Unione europea. «Adesso tutti parlano della Cina, del Giappone, ma sono mercati difficilissimi - sottolinea - C’è anche in questi mercati una predisposizione al prodotto italiano ma è molto difficile, specialmente per aziende piccole e poco strutturate, essere presenti. Il fatto che le ambasciate siano punto di riferimento da qualche anno a questa parte - aggiunge - è sicuramente un elemento di possibilità, però è chiaro che resta difficile spiegarlo a un’azienda che magari ha un solo importatore in America e che a causa dell’aggravio del dazio probabilmente diminuirà i volumi o ancora peggio perderà l’importatore». Nell’incertezza delle ripercussioni derivanti dalla politica protezionista statunitense, dunque, gli imprenditori agricoli, così come quelli degli altri settori maggiormente coinvolti nelle esportazioni verso gli Usa, si aspettano particolare attenzione e supporto. «Adesso però - sottolinea ancora Granieri - ci sarà da capire l'effetto vero, che vedremo nel 2026. Il dato in dodicesimi, infatti, potremo registrarlo soltanto negli gli ultimi tre mesi di export. Quindi fino ad allora il riscontro rispetto all’imposizione dei dazi sarà parziale. Ma nel 2026 vedremo effettivamente quanto sarà stato grande il danno. Senza dimenticare - conclude - che se da una parte ci sono i dazi, dall’altra non dobbiamo dimenticare il taglio del 20% della politica agricola comune, e che quindi il problema non è soltanto in America, ma anche in Europa».
Lo scenario
Come ricordato dal presidente di Coldiretti Lazio David Granieri, per l’agroalimentare italiano gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato extra-Ue, con un valore che nel 2024 ha sfiorato gli 8 miliardi di euro. Secondo un’analisi Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga, inoltre, negli ultimi cinque anni, l’export verso gli Usa è cresciuto in media dell’11% l’anno, arrivando a un aumento che ha toccato il 17% soltanto nell’ultimo anno. E la possibile inversione di rotta, ora, spaventa.
Le ricadute più pesanti per l’agroalimentare riguardano vino, olio e pasta. Il vino, il primo prodotto del settore esportato negli Usa, con 1,9 miliardi di euro, con i dazi subirà un impatto stimato in oltre 290 milioni di euro. Per quanto riguarda l’olio extravergine di oliva l’export verso gli Usa vale oltre 937 milioni di euro e i dazi avranno un peso stimato in più di 140 milioni di euro. La pasta, oggi esente da dazi, peserà 74 milioni di euro.
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