Spazio satira
Il ricordo
18.07.2025 - 12:00
Luciano Renna
Luciano Renna moriva vent’anni fa. Ha lasciato la vita terrena ma ha lasciato, però, anche un’impronta indelebile come insegnante, anzi come educatore e, soprattutto, come vero giornalista. Responsabile per anni de Il Messaggero di Frosinone, pioniere della tv locale, con Tele Frosinone, corrispondente Rai per Cassino, collaboratore per Il Tempo di Frosinone e riferimento per testate storiche come Il Giorno, Avvenire o la Gazzetta del Sud e La Sicilia. Luciano non si arrendeva mai alle abitudini nel lavoro. Non si risparmiava. La fatica non lo spaventava. Amava la famiglia, la moglie Fiorella, i figli Piergiorgio e i gemelli Alessandro e Andrea, e i nipoti.
Luciano era colto, raffinato, sempre disponibile, altruista, sensibile e attento soprattutto ai temi sociali. La sua scomparsa ha graffiato in modo irreparabile l’anima di tanti, è stato inimitabile nello stile, asciutto ma preciso, pragmatico ma esaustivo. Incline all’ascolto, più propenso all’analisi che alle verità raccontate, dava sempre più spazio al dubbio che alla certezza ed era veramente allergico alle parole vuote e alle verità imposte dall’alto. La modernità, diceva, può divorare l’uomo se non è sorvegliata con accuratezza dalla coscienza. Il lavoro lo inquadrava come un diritto alla felicità, mai come una condanna. Amava la Ciociaria, la squadra di calcio del capoluogo, le origine della città di Frosinone ma anche quella della città martire e di tutti gli altri centri della provincia.
Amava l’ascolto e la dignità di saper fare per gli altri, con gli altri con quella “tigna” tutta ciociara. Ha fatto crescere tanti di noi giovani pubblicisti e giornalisti. Con entusiasmo e passione traduceva i nostri timori, le nostre giuste paure guidandoci nei vicoli, a volte ciechi, di una professione da sempre affascinante, ma non facile, dura. Ognuno ha la propria storia, la propria fatica, la propria voglia di lasciare qualcosa di positivo. Luciano ha lasciato con forza ma anche con gentilezza, con garbo ma in modo determinato, un solco che oggi va percorso, seppur con l’aiuto di una tecnologia, la stessa che lo ha visto praticamente passare dalla Olivetti, la sua Olivetti, alla telescrivente e poi al pc, dall'era analogica a quella digitale. Il destino delle cose non lo vuole più tra noi. Ma lui c’è.
Lo immaginiamo a seguire cronache ed avvenimenti, allo stadio , da quel Matusa il cui nome fu coniato proprio da lui, al Benito Stirpe. Lo vediamo in un angolo a seguire conferenze, consigli comunali e provinciali, conferenze stampa o seminari. La sua umanità lo precedeva, sempre. Chi, come noi, ha avuto la fortuna di aver lavorato con lui lo ricorda capace di ascoltare il silenzio, di riconoscere la stanchezza anche da un gesto, di saper fermare il tempo della propria macchina da scrivere per analizzare la fragilità di collega in crisi. La sua morte improvvisa, in una giornata calda come questo clima ci fa condividere e sopportare sempre più spesso, ha interrotto, troppo bruscamente, e ancor più troppo prematuramente, un grande percorso, lasciando una altrettanto grande ferita aperta che non chiuderà mai, un senso di immenso vuoto che ancora oggi chi attraversa questa professione registra. Ha lasciato un vuoto incolmabile in tutti e tre i figli, gli amici Piergiorgio, Alessandro ed Andrea, tutti e tre tra l'altro pubblicisti e tutti e tre impegnati in modo importante nel mondo del lavoro negli ambiti dove ormai si sono saputi affermare traducendo quel messaggio di papà Luciano che ha impresso in loro nella volontà di trovare un senso alto proprio nel lavoro. Rammarico per loro, come per noi, non averlo più qui magari anche a commentare le loro singole tappe professionali.
Luciano Renna non può e non deve essere consegnato con la sua visione all’archivio della nostalgia. I suoi articoli, le tantissime testimonianze di chi lo ha conosciuto continuano a parlarci di lui e forse chiedono di non smettere di sognare, di non ridurre il lavoro a un puro calcolo, di non accontentarci della misura più piccola solo del profitto. Il suo esempio resta un concreto nervo scoperto. Vent’anni sono tanti ma non leniscono una perdita di una persona come Luciano che cercava sempre di fare di più, trasformando i traguardi in sfide da vincere e, come diceva Olivetti, amava anche i sogni, quelli che restano tali sino a che non si comincia da qualche parte a lavorarci. Solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di profondamente più grande. Proprio come Luciano. Questa sera nella chiesa di Sant’Antonio a Frosinone verrà ricordati con una messa alle ore 19.
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