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Stellantis, stipendi bassi. Serve l’integrazione al reddito

Il focus di Samuele Lodi (Fiom-Cgil) anche su volumi, modelli e incentivi all’esodo

Stellantis, stipendi bassi. Serve l’integrazione al reddito

Stipendi degli operai troppo bassi e la battaglia della Fiom-Cgil per l’integrazione al reddito anche con una raccolta firme negli stabilimenti. Volumi che scendono e previsioni che non si radicano in un futuro roseo. Non ci sono le condizioni, soprattutto alla luce della tipologia dei nuovi modelli e di un elettrico che non svetta nei mercati. Aleggiano nell’aria ulteriori incentivi alle fuoriuscite volontarie con quell’incubo ad occhi aperti che vede lo “svuotamento” delle fabbriche.

A parlarne è Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore automotive: «Non ci sarà un’inversione nei prossimi mesi, questo è certo, se stiamo ai dati del primo trimestre sicuramente siamo in ulteriore peggioramento. Ci avevano anche detto il 17 dicembre al Minit che il 2025, dal punto di vista dell’utilizzo degli ammortizzatori, sarebbero stati in linea col 2024, invece stiamo peggiorando, quindi il tema è la prospettiva. Come sempre quando si parla di ammortizzatori il problema principale non è tanto il momento in cui si utilizzano ma è provare a comprendere la prospettiva. E la prospettiva sicuramente, con i dati alla mano, è molto fosca per quanto riguarda Stellantis perché dal punto di vista dei modelli, delle produzioni non abbiamo indicazioni rispetto al fatto che la situazione migliorerà e migliorerà a breve, quindi sicuramente avremo mesi e mesi di fatica. Questo declinato sullo stabilimento di Cassino acuisce le nostre preoccupazioni perché lì abbiamo il problema ora ma lo avremo anche dopo, e questo preoccupa maggiormente».

Quanto durerà questo “dopo”?
«Questo “dopo” non sappiamo quanto durerà, sicuramente molto anche perché sappiamo, rispetto a quelli che sono i modelli allocati a Cassino, che i volumi non saranno sufficienti a saturare l’occupazione, anche con le nuove vetture non si saturerà l’occupazione e, quindi, temiamo che anche Cassino sarà toccata dalla questione degli incentivi all’esodo e dal proseguimento di questa dinamica dello svuotamento degli stabilimenti; se la strategia dell’azienda è solo ed esclusivamente quella di dare incentivi all’esodo per ridurre il numero dipendenti è chiaro che non c’è una prospettiva di crescita, è abbastanza evidente.
Avremmo bisogno di più modelli e modelli che producano dei volumi, non certo quelli previsti per Cassino, ma potremmo fare un ragionamento analogo per Melfi. Insomma abbiamo bisogno di modelli che potenzialmente producano dei volumi, i mass market. Tornando a quello che ci hanno detto il 17 dicembre al Mimit i due miliardi di investimenti in Italia sono niente rispetto a quello di cui ci sarebbe bisogno. A fronte del fatto che comunque in tutti gli stabilimenti, e Cassino è uno di questi, gli ammortizzatori sociali insistono ormai da anni, noi abbiamo chiesto una integrazione al reddito da parte dell’azienda perché quando si lavora così poco è chiaro che la retribuzione non supera i 1.100, 1.200 euro al mese. Se la situazione è contingente, di qualche mese, è un conto ma se è prolungata è diverso, quindi abbiamo chiesto una integrazione al reddito da parte di Stellantis. Stiamo facendo una raccolta firme negli stabilimenti per chiedere all’azienda in primis ma anche alle regioni per la formazione un’integrazione al reddito per i lavoratori. In Piemonte stanno sperimentando un finanziamento di formazione e riqualificazione per i lavoratori che determina una integrazione al reddito. La misura è rivolta a tutti i cassintegrati non solo ai lavoratori Stellantis e la Regione ha messo a disposizione 20 milioni di euro, bisogna allargare quella esperienza ma lo diciamo anche a Stellantis che deve integrare il reddito invece di redistribuire agli azionisti gli utili».

Indotto in forte sofferenza, con un numero maggiore di operai, tra una difficile riconversione, appalti in scadenza e la chiusura dei cancelli ogni volta che si ferma la multinazionale. Anche per queste realtà che cosa si può fare?
«La situazione è ancora più drammatica, sono mesi che lo stiamo denunciando e qui abbiamo bisogno che Stellantis si assuma realmente la propria responsabilità in maniera concreta, soprattutto in questa fase in cui sta tendendo a reinternalizzare diverse attività, è chiaro che se reinternalizzi dai lavoro ai tuoi dipendenti e riduci la cassa integrazione ma si mettono in grossissima difficoltà i lavoratori delle ditte in appalto e di tutta la filiera. Oltre a Stellantis abbiamo bisogno del governo, sono mesi che diciamo che abbiamo bisogno di nuovi ammortizzatori sociali, una riforma che dia garanzia ai lavoratori perché nel corso del 2025 saranno diverse quelle che termineranno gli ammortizzatori sociali, e invece non si muove nulla, ne abbiamo bisogno perché soprattutto nell’indotto non si muove nulla. Nel corso del 2025 saranno diverse le aziende che termineranno gli ammortizzatori, abbiamo bisogno da parte del governo centrale che ci sia una riforma e quindi un rifinanziamento degli ammortizzatori».

Sono paracadute ma non la soluzione...
«Un paracadute che, tra l’altro, mette in difficoltà dal punto di vista salariale ma almeno li tiene attaccati all’azienda, però non può essere la soluzione, abbiamo bisogno di politiche industriali, di investimenti e di risorse pubbliche e private, gli investimenti pubblici devono essere dati solo al mantenimento occupazionale, cioè le risorse pubbliche devono essere messe a disposizione di quelle aziende che difendono l’occupazione».

E sull’elettrico che non decolla?
«Il tema dell’elettrico e della transizione è un tema europeo e la risposta data dalla commissione europea a inizio marzo è del tutto inconcludente. Ci sono risorse irrisorie per quanto riguarda lo sviluppo di nuove tecnologie e le batterie, soprattutto non è previsto nulla per la tenuta sociale e occupazionale, questo è molto grave soprattutto in un contesto in cui l’Europa decide di riarmarsi mettendo a disposizione 800 miliardi di euro. Questo significa che i soldi se si vuole ci sono e si trovano. Così si rischia di perdere tutto il settore automotive, questo è oltremodo grave, qui abbiamo bisogno di fortissimi investimenti dall’Europa per le nuove tecnologie ma anche per la tenuta sociale e occupazionale. E allo stesso tempo anche il governo italiano non può sempre e solo scaricare sull’Europa, aveva un fondo automotive che con la legge di stabilità ha tagliato dell’80 per cento».

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