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L'intervista

Da Colfelice al Kenia per amore

La passione per l’Africa li ha uniti da subito. Così i due giovani dottori hanno scelto di vivere a Ongata Rongai. Dopo le esperienze a Londra, Roma e Aprilia hanno portato tutta la loro professionalità dove le cure sono ancora un lusso

Da Colfelice al Kenia per amore

I due medici di Colfelice Marco Frasca e Silvia Rabotti che si sono trasferiti in Africa per aiutare i più bisognosi

Dalla tranquilla Colfelice alla Terra Rossa del Kenia, un territorio con tante problematiche, ma ricca da un punto di vista umano. Questa la scelta di vita fatta a febbraio scorso da due medici di Colfelice, il dottor Marco Frasca e la dottoressa Silvia Rabotti, entrambi trentatreenni, che - uniti nella vita - hanno deciso di trasferirsi in Kenia per una importantissima missione umanitaria in favore dei più deboli e bisognosi. Marco e Silvia hanno anche dato vita all’associazione “We’re all’Africa” e mantengono sempre un contatto diretto con Colfelice. Recentemente in paese è stata organizzata una cena solidale per raccogliere fondi per sostenere i progetti umanitari che i due medici portano avanti: trecentocinquanta i partecipanti con tanto entusiasmo da parte della sindaca Gabriella Protano e degli stessi organizzatori.

Dottor Marco, ci descrive la sua famiglia
«Silvia ed io siamo sposati da quasi 10 anni e abbiamo 2 bambine, Maria di 9 anni e Waris che compirà un anno a fine settembre».

Che cosa vi ha fatto innamorare di una terra così difficile?
«Nella nostra relazione l’amore per l’Africa è sempre stato un forte collante e un sogno comune che abbiamo condiviso fin dalla prima esperienza qui, quando eravamo ancora liceali».

Prima di affrontare questa scelta coraggiosa, che vi fa onore, dove avente espletato la vostra professione medica?
«Prima di trasferirci in Kenya io ho lavorato a Londra e poi in un ospedale privato ad Aprilia, mentre Silvia prima al Campus Biomedico di Roma e successivamente anche lei ad Aprilia per qualche tempo».

Dove vivete in questo momento?
«Attualmente viviamo a Ongata Rongai, nel distretto di Kajiado, a circa un’ora da Nairobi».

Come è maturata questa vostra decisione?
«La scelta di trasferirci qui ovviamente non è nata all’improvviso, ma è stata una decisione maturata e ponderata nel corso di molti anni, dopo tante missioni a sostegno dei nostri progetti. Possiamo dire che dopo ogni missione era sempre più complicato tornare a casa e abbiamo capito che il nostro posto nel mondo e lo scopo delle nostre vite era qui, tra la nostra gente».

Avete trovato delle difficoltà nell’integrarvi in un Paese completamente diverso dal vostro?
«Trasferirsi qui non è stato in realtà così traumatico come si potrebbe pensare, perché per noi questo Paese è sempre stato casa nostra e negli anni abbiamo imparato a conoscerlo e amarlo, nei suoi aspetti positivi e anche in quelli negativi. Lavorare qui significa affrontare molte sfide, dalla povertà assoluta, alla criminalità, alle patologie infettive, alla disperazione di una popolazione che spesso non trova un supporto per continuare a vivere».

Come cercate di alleviare le sofferenze delle persone che incontrate e che curate?
«Nel nostro ospedale qui a Ongata Rongai assistiamo pazienti adulti, pediatrici e anche donne che si recano qui per dare alla luce i loro piccoli. Cerchiamo di fornire un’assistenza più completa possibile e allo stesso tempo di garantire costi accessibili, essendo quello economico uno dei grandi ostacoli che spesso impedisce a questa popolazione di curarsi. Portiamo anche assistenza gratuita alle comunità più disagiate nelle baraccopoli e nei villaggi maasai. Oltre ai progetti sanitari abbiamo anche aperto nel 2016 una casa di accoglienza per bambini Hiv positivi: questi bambini vengono spesso maltrattati, emarginati e abbandonati per via della loro condizione e grazie al nostro progetto possono trovare chi si prende cura di loro e possa garantire loro una casa, un’istruzione, cure mediche e le attenzioni che prima non hanno mai avuto».

La vostra è davvero di una missione umanitaria importantissima...
«È la nostra missione e siamo felici di portarla avanti anche se tra mille difficoltà e siamo felici perché anche per le nostre bambine Maria e Waris questa sta diventando la loro casa, stanno imparando la lingua locale e si stanno integrando sempre più».

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