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Belmonte Castello

Alla conquista di Parigi con gusto e creatività

La storia di un giovane e promettente cuoco ciociaro . Intervista a Daniele Tari, chef in un noto ristorante francese

Lo chef  Daniele Tari  (a destra)  insieme  a Renato Bartolone  (al centro), titolare del “Marco Polo”,  e a Claude Bartolone,  ex presidente dell’Assemblea nazionale  e fratello  di Renato

Lo chef Daniele Tari (a destra) insieme a Renato Bartolone (al centro), titolare del “Marco Polo”, e a Claude Bartolone, ex presidente dell’Assemblea nazionale e fratello di Renato

Originario di Belmonte Castello, Daniele Tari ha seguito la sua passione per il mondo della cucina, sia con lo studio sia attraverso l’esperienza maturata in varie istituzioni della nostra provincia. Trasferitosi a Parigi, dove delizia con i suoi piatti la clientela del noto ristorante Marco Polo, è oggi uno dei più promettenti chef della Ciociaria. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui.

Qual è stato il suo percorso prima di approdare al Marco Polo di Parigi?
«Inizia tutto nel 2014 quando, dopo la terza media, decisi di frequentare l’Itis. Avevo già la passione per la cucina, che mi è stata trasmessa dalla mia famiglia, ma non ero ancora sicuro che potesse diventare il mio lavoro. Al termine del primo anno chiesi ai miei genitori di cambiare istituto e il “San Benedetto” mi ha accolto, dandomi poi varie possibilità negli anni con stage, concorsi e percorsi di formazione paralleli allo studio. Ho cominciato a lavorare da subito. La mia prima esperienza è stata nello storico ristorante Le Cannardizie, ad Atina, con Vittorio e Patrizia con cui ho tuttora un ottimo rapporto. Mi hanno insegnato l’importanza della materia prima e l’attaccamento al territorio».

E subito dopo è arrivato il Marco Polo, a Parigi?
«Non subito. Nell’estate del 2016 ho fatto il mio primo tentativo a Parigi come aiuto cuoco al Marco Polo e per la prima volta mi sono confrontato con una realtà totalmente diversa, con un’altra lingua e con persone provenienti da tutto il mondo. E mi è piaciuto molto. Negli anni successivi, sempre durante il periodo scolastico, ho colto l’occasione di presentare il mio curriculum a Domenico Stile di “Enoteca La Torre” a Roma. È lo chef da cui ho appreso il rigore, l’amore, la perseveranza e le tecniche più fini di cucina. Oltre al ristorante stellato, ho partecipato ad alcuni eventi, anche con il catering della stessa società, e ho lavorato nel “Circolo La Macchia” di Capalbio, uno dei più esclusivi d’Europa. Nel 2020 sono tornato in Francia, ma al Marco Polo di Noisy Le Grand come chef di cucina, per poi arrivare nel 2022 a quello di Parigi dove, oltre a ricoprire lo stesso incarico, sono anche responsabile acquisti della struttura».

Cosa spinge un giovane chef a trasferirsi all’estero?
«Il motivo per cui si decide di partire credo sia appunto per fare un’esperienza diversa, confrontarsi con nuove realtà e conoscere usi e costumi diversi dai nostri».

Ha riscontrato differenze in Francia nel modo di lavorare e nell’approccio alla professione?
«Il mondo della ristorazione non è troppo lontano da quello italiano ma la clientela e lo stile di vita sono totalmente diversi».

In cosa il cliente francese è diverso da quello italiano?
«Il cliente francese, e nel mio caso parigino, esce molto frequentemente. Oltre alla buona cucina cerca un luogo in cui possa sentirsi quasi come a casa, un ambiente tranquillo e familiare».

Qual è invece il suo approccio alla cucina? Cosa pensa di avere portato al Marco Polo?
«Il metodo di lavoro dei francesi lo apprezzo molto. Ritengo che siano attenti e precisi. Nella ristorazione sono stati loro, d’altronde, a inventare le “brigade” a fine 800. Il mio approccio è naturale e positivo. Cerco di coinvolgere chi lavora con me per farlo appassionare a questo stupendo lavoro. La sensibilità umana è molto importante per avere una squadra affiatata e per lavorare bene in gruppo. Un’altra cosa su cui faccio estremamente attenzione è la ricerca dei prodotti, delle piccole perle sparse in tutto lo “Stivale” e anche qui in Francia».

Come definirebbe la sua cucina?
«Ritengo che sia una cucina semplice, di gusto, con ingredienti freschi e sani, lavorati e cotti con tecniche moderne che non alterano ma esaltano il prodotto. Mi piace infine servire un piatto presentato bene, perché anche l’occhio vuole la sua parte».

Quali sono i piatti che predilige e che ama preparare?
«Non ho una pietanza in particolare che mi piace cucinare. Il momento che preferisco è quando uno dei miei piccoli fornitori mi dice che ha un prodotto, una verdura o una frutta appena raccolte, e a quel punto creo un piatto del giorno da proporre ai miei clienti. Vicino alla stagione estiva mi diverto a creare anche dei sorbetti che vengono particolarmente apprezzati».

Quale tipo di clientela viene a mangiare al Marco Polo e quali sono i piatti che ama maggiormente?
«Clienti illustri ne abbiamo tutti i giorni e sono abituali. Politici, grandi imprenditori, principi della famiglia reale araba, attori e personaggi pubblici. Tutti loro sono rispettosi nei nostri confronti e con loro c’è un ottimo rapporto. La nostra clientela apprezza particolarmente la proposta giornaliera, i piatti del giorno. Ormai sono abituati al mio modo di fare e sanno che quotidianamente creiamo qualcosa di diverso con la squadra».

Qual è il momento più bello della giornata lavorativa?
«Il momento che preferisco è la creazione dei piatti del giorno, la valorizzazione dei prodotti appena ricevuti e la soddisfazione negli occhi dei clienti».

Cosa le manca della Ciociaria?
«Mi mancano sicuramente il paesaggio naturale, la tranquillità, i prodotti tipici e i piccoli paesi. E ovviamente la mia famiglia, gli amici e Belmonte Castello, il posto in cui sono cresciuto. È sempre bello tornare giù».

Qual è il suo sogno da chef?
«Di sogni ce ne sono molti e si lavora per raggiungerli. Alla base dei miei obiettivi ci saranno sempre la ricerca, lo studio e un forte senso di italianità che porterò ovunque».

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