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L'inchiesta

Frode fiscale e autoriciclaggio verso la Cina. Il compenso fissato al 2%

Nove gli arresti tra italiani e cinesi eseguiti dalla guardia di finanza. La provvista di denaro poi confluita nelle società asiatiche con 470 bonifici ammonterebbe a circa 5,5 milioni di euro

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L'operazione della Guardia di finanza

Fatture per operazioni inesistenti per creare una provvista di denaro da oltre cinque milioni e mezzo di euro. I soldi poi finivano in Cina attraverso una serie di bonifici per cui è contestato anche il reato di autoriciclaggio. In cambio delle fatture il compenso sarebbe stato del 2% della provvista. È quanto ipotizza l’accusa nell’operazione “Perno d’Oriente” che la guardia di finanza di Frosinone ha condotto sotto il coordinamento della procura di Roma.

Il gip Elvira Tamburelli ha disposto il carcere per tre persone: si tratta di Fabrizio Chiappini, 56 anni, frusinate, Alessio Possenti, 47, di San Cesareo e del cinese Genfa Wang, 69, residente nella capitale. Concessi i domiciliari, invece, per gli altri indagati: Stefano Scicchitano, 70, di Ceccano, Bruno Del Corno, 68, di Albano Laziale, e i cinesi Yrui Wu, Anqui Cai, Hongwei Wu e Suli Wei, residenti tra Napoli, Roma e Latina, difesi dagli avvocati Giampiero Vellucci, Mattia Romano, Giuseppe Covino, Anna Paola Scarpelli, Antonio Sordi, Andrea Mariani, Vito Patta e Pasqualino Ferrante. Ieri sono iniziati gli interrogatori di garanzia degli indagati (l’inchiesta è ancora nella fase delle indagini preliminari), che proseguiranno nella giornata di lunedì sempre davanti al gup di Roma Elvira Tamburelli.

Ai quattro italiani, sulla base degli accertamenti condotti dal gruppo di Frosinone della guardia di finanza, è stato contestato il reato di autoriciclaggio in qualità di amministratori unici o di fatto di due società a responsabilità limitata per fatture per operazioni inesistenti per un totale complessivo di 5.570.243 euro, ritenuta la provvista. Per le operazioni condotte attraverso due società con sede a Roma avrebbero trattenuto il 2% delle somme che l’accusa ritiene evase (per Iva e imposte dirette) per un totale, rispettivamente di 55.998 e 60.944 euro. Le Fiamme gialle hanno ricostruito, tra le due società italiane, 470 bonifici (204 e 266) inviati ad attività finanziarie e imprenditoriali con sede in Cina e a Hong Kong in assenza di documenti finanziari di riferimento. Si tratta di società attive nel commercio di prodotti tecnologici e per la casa.

Agli asiatici, invece, è contestato in qualità di amministratori unici di cinque società con sede a Roma e Anagni, l’aver trasferito, a seguito dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti (contestate agli italiani), le somme di denaro ritenute evase alle società degli italiani per un totale di 1.347.270 euro. Il tutto, secondo l’accusa, per ostacolare l’identificazione della provenienza illecita del denaro.

Ora nel mirino dei finanzieri ci sono gli intermediari, compresi anche alcuni professionisti, che avrebbero messo in contatto i cinesi con gli imprenditori italiani. Ma non solo fari puntati anche su alcuni investimenti effettuati in Ciociaria da società gestite da cinesi. La guardia di finanza ha anche effettuato un sequestro di beni per un ammontare di tre milioni di euro, ovvero l’importo transitato sui conti delle società “perno”. L’inchiesta è nata a seguito di un’altra indagine condotta per reati fiscali.

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