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L'operazione

Autoriciclaggio con aziende cinesi. Nove arresti

La Guardia di finanza ha eseguito le misure (tre in carcere e sei ai domiciliari) indagando da una società frusinate. Contestata l’emissione di false fatture con il denaro che poi finiva in Cina ad alimentare il commercio di prodotti tecnologici

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L'operazione della Guardia di finanza

Fatture false per 18 milioni di euro. I flussi di denaro partivano per la Cina dove alimentavano società attive nella produzione e nel commercio di prodotti tecnologici e per la casa. Una volta ripulito il denaro in Asia, il giro ricominciava in Italia per rigenerare le provviste illecite da riciclare. È il sistema scoperto dalla guardia di finanza di Frosinone che, al termine di una complessa indagine, durata un anno e mezzo, ha eseguito un’ordinanza cautelare messa dal gip del tribunale di Roma nei confronti di nove persone tra italiani e cinesi. Tre le persone finite in carcere, due sono ciociari residenti a Frosinone e Ceccano, il terzo è un cinese della provincia di Roma. Per altre sei - tra Roma, la provincia, Latina e Napoli - sono scattai i domiciliari: sono un italiano e cinque cinesi (uno è residente a Latina).

“Perno d’Oriente” è stata denominata l’attività d’indagine condotta dai finanzieri del comando provinciale di Frosinone, su delega dalla procura della Repubblica di Roma. I reati che vengono contestati dalle Fiamme gialle sono di frode fiscale ed auto-riciclaggio internazionale. L’inchiesta nasce da un’attività info-investigativa eseguita dal gruppo della guardia di finanza di Frosinone. Gli uomini diretti dal maggiore Precentino Corona hanno iniziato a fare accertamenti su una società avente la sede di fatto nel capoluogo. Da lì le Fiamme gialle hanno puntato i principali clienti, risultati essere tutti grossisti di origine cinese, operanti a Roma ed in centro Italia.

I finanzieri hanno messo nel mirino la società ciociara e una società strettamente connessa alla prima ritenute delle “cartiere”, ovvero preposte all’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti principalmente nei confronti di una ristretta platea di clienti. Le indagini conducevano anche all’individuazione delle società cosiddette “perno”, utilizzate in maniera strumentale, in continuità temporale tra loro, per veicolare capitali verso terze società ubicate nell’est asiatico, in Cina e a Hong Kong. Le Fiamme gialle contestano l’emissione ed il successivo utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per un importo di circa 18 milioni di euro, nonché l’evasione dell’Iva e dell’Ires per circa 4 milioni di euro. I finanzieri hanno poi ricostruito i flussi finanziari, ammontanti a circa 11 milioni di euro, a favore di 17 società con sede in Cina e a Hong Kong.

Eseguiti sequestri di beni per circa tre milioni di euro, pari all’importo transitato sui conti delle società “perno”, corrispondenti all’illecito risparmio fiscale (di Ires ed Iva) delle società grossiste beneficiarie delle fatture per operazioni inesistenti. Le società asiatiche destinatarie dei flussi di denaro per l’auto-riciclaggio sono risultate essere tutte operanti nella produzione e nel commercio all’ingrosso di prodotti tecnologici e per la casa. Tutte - contesta l’accusa - senza alcun rapporto commerciale con le società “cartiere/perno”. L’attività investigativa ha consentito l’esecuzione di otto attività di natura tributaria, nello specifico, sette verifiche e un controllo ai fini dell’Iva, imposte dirette ed Irap e degli altri tributi nei confronti di altrettante società coinvolte negli illeciti individuati.

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