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L'inchiesta

Test del Dna per l’omicidio dello Shake bar

La procura ha sottoposto a prelievi genetici l’arrestato e gli amici che erano con lui il 9 marzo. L’atto al fine di ricostruire nei minimi dettagli la dinamica e il contributo dei presenti nel gruppo di Mikea Zaka

Test del Dna per l’omicidio dello Shake bar

I rilievi della polizia scientifica all’interno dello Shake bar dopo l’omicidio dello scorso 9 marzo

Sparatoria di via Moro, test del Dna per i presenti al tavolo dello Shake bar. L’inchiesta sull’omicidio di Kasem Kasmi, il ventisettenne albanese colpito a morte lo scorso 9 marzo all’interno del locale di via Moro, va avanti. E non si lascia nulla al caso. Per l’omicidio di Kasmi e il triplice tentato omicidio del fratello e di due cugini, a loro volta fratelli, presenti quella sera nel bar, la squadra mobile di Frosinone ha arrestato l’albanese Mikea Zaka, 23 anni. Ma nonostante la confessione e un quadro abbastanza delineato anche grazie alla presenza di telecamere all’interno e all’esterno dello Shake, gli sforzi della procura vanno avanti per definire un quadro il più preciso possibile della dinamica e del movente dietro al grave fatto di sangue. E così il sostituto procuratore Samuel Amari, che coordina le indagini, ha disposto un accertamento irripetibile per ulteriori sviluppi investigativi.

Si tratta del prelievo di campioni biologici a carico di coloro che, quella sera, si trovavano insieme a colui che poi ha fatto fuoco. La richiesta è stata fatta così al gruppo che si trovavano al tavolino con Zaka (quattro più quest’ultimo) nel momento in cui nel locale fanno irruzione la vittima e i suoi tre accompagnatori. I giovani albanesi (gli altri quattro non sono indagati, ma due sono assistiti dall’avvocato Riccardo Masecchia, mentre Zaka dall’avvocato Marco Maietta) hanno acconsentito spontaneamente ai prelievi finalizzati, con tutta probabilità, a meglio valutare la dinamica della sparatoria e il contributo causale di ognuno dei presenti.

Dalle immagini si vede l’ingresso nel dehor del locale della vittima con, in fila indiana, fratello e cugini dirigersi al tavolo di Zaka. Ne scoppia un breve parapiglia finché Zaka non impugna l’arma ed esplode sette colpi. Dopo essersi allontanato dal bar, Zaka si è poi costituito la sera stessa, ammettendo di aver sparato. L’arma, però, non è mai stata trovata, nonostante le ricerche si siano concentrate anche nel fume Cosa a ridosso del ponte di via Verdi. Tra le ipotesi al vaglio degli investigatori che dietro la sparatoria ci siano questioni di droga. Anche se, l’indagato nel fornire la sua ricostruzione aveva parlato di uno scontro per una donna contesa. Nel corso delle indagini la squadra mobile ha sentito diverse persone ed effettuato una serie di perquisizioni. In una di queste sono stati sequestrati dei proiettili. Altri accertamenti hanno riguardato i telefonini in sequestro come pure la ricostruzione balistica della sparatoria.

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