Spazio satira
Pagine di storia
18.07.2025 - 14:00
Il 18 luglio del 1925 – e quindi esattamente cento anni fa – venne pubblicato in Germania il primo volume di quello che sarebbe poi diventato uno dei libri più controversi e popolari del Novecento: “Mein Kampf”. In quel saggio autobiografico, scritto in diverse fasi tra il 1924 ed il 1926, il suo celebre autore, Adolf Hitler, espose il suo folle pensiero politico, delineando altresì le linee guida del programma del futuro partito nazista. Nonostante sia un testo estremamente lungo (circa 800 pagine) e – a dire il vero – piuttosto pesante ed involuto da un punto di vista strettamente formale e stilistico, “Mein Kampf” divenne, in pochi anni, il principale pilastro dell’ideologia nazionalsocialista, incidendo in maniera profonda sulla coscienza del popolo tedesco, e poi sulla storia dell’intera umanità.
La genesi della scrittura del libro è nota. A seguito del fallito tentativo di colpo di stato, avvenuto a Monaco il 9 novembre 1923, Adolf Hitler venne arrestato a Monaco di Baviera il 1º aprile 1924, con l’accusa di insurrezione. Mentre stava scontando la sua pena nel carcere di Landsberg am Lech, il futuro Führer ebbe tempo e modo di maturare e perfezionare le sue scellerate convinzioni ideologiche e politiche. Nonostante fosse fermamente convinto che l’efficacia della parola parlata fosse nettamente superiore a quella scritta (ed in effetti l’enfasi con la quale “condiva” i suoi celebri, lunghissimi discorsi ne costituisce la prova provata…), Hitler aveva perfettamente compreso che i fondamenti di una dottrina e soprattutto quelli che lui aveva in mente, era bene che venissero fissati su carta; e ciò per colpire meglio l’attenzione delle folle e rimanere più facilmente impressi nella mente delle persone.
Durante la prigionia, pertanto, Hitler decise di dettare al suo compagno di galera, Rudolph Hess (che poi sarebbe diventato uno dei suoi più fidati seguaci), il testo della sua autobiografia, una sorta di panegirico autocelebrativo che nascondeva i traumi di un’infanzia difficile, il pessimo rapporto che aveva con il padre ed una palese ignoranza di fondo. Inizialmente, Adolf voleva intitolare il suo esordio letterario “Quattro anni e mezzo di lotta contro le bugie, la stupidità e la codardia”, evidentemente con la malcelata intenzione di provare a spiegare ai lettori le ragioni del suo arresto e della sua persecuzione politica, che riteneva profondamente ingiusti. Poi, però, optò per il ben più incisivo e laconico titolo, che è rimasto indelebilmente scolpito nella storia recente dell’umanità.
Il prezzo di vendita del primo tomo del saggio era di dodici marchi. Le prime diecimila copie andarono esaurite prima della fine del 1925. L’editore, a fronte di un così inatteso successo, continuò a stampare nuove edizioni, tanto è vero che, al momento della presa di potere dei nazisti in Germania (avvenuta il 30 gennaio del 1933), quelle vendute ammontavano ad oltre 240.000. Negli anni successivi la diffusione di “Mein Kampf” fu enorme, basti pensare che, alla fine del 1944, la tiratura complessiva del saggio delFührer raggiunse la cifra record di ben 12.450.000 copie! Tale clamorosa diffusione lo rese, quindi, un vero e proprio “best seller” dell’epoca (anche se, tenuto conto dell’oggettiva pesantezza ed ampollosità formale del testo, e della sua notevole lunghezza, sono in molti a ritenere che esso fosse il classico libro che si compra per curiosità, o per “passione”, ma che in realtà poi quasi nessuno legge…).
Ad ogni buon conto è incontestabile che il suo successo editoriale rese Hitler un vero e proprio milionario. Il saggio, per i suoi contenuti, venne astutamente utilizzato dall’autore per alimentare la formazione ideologica del popolo tedesco, e per accelerare la diffusione del “patrimonio ideale nazionalsocialista”. Soprattutto quelle che esaltavano l’odio verso il bolscevismo e l’ebraismo.
Osserva a tal proposito la storica tedesca Angelika Konigseder, richiamando nel suo prezioso contributo critico le stesse parole dell’autore: «Nel bolscevismo russo dobbiamo scorgere il tentativo ebraico di impossessarsi del dominio universale nel ventesimo secolo». Sottolinea ancora la suddetta studiosa: «Vistoso è l’utilizzo di concetti parassitologici per caratterizzare l’ebreo come “verme in un corpo decomposto”, “pestilenza”, “agente patogeno”, “fungo divisorio dell’umanità”, ragno che “succhia lentamente il sangue popolare”, ratto fra “ratti che lottano all’ultimo sangue”, “parassita nel corpo di altri popoli”, “dove si presenta, muore il popolo ospite”, “tirannia succhia-sangue”, “vera sanguisuga”, concetti che poi giocarono un ruolo importante anche nella propaganda antisemita nazionalsocialista».
“Mein Kampf” venne pubblicato nel 1934, con il fedele titolo “La mia battaglia” ed una “preziosa” prefazione dello stesso autore, anche in Italia (e precisamente, dopo il rifiuto di Mondadori, per la casa editrice Bompiani). Non tutti sanno che, per ironia della sorte, il primo traduttore del libro dal tedesco in italiano fu un ebreo, e precisamente tale Angelo Treves (anche se, evidenzia lo storico del nazionalismo ebraico Vincenzo Pinto in una approfondita analisi del testo hitleriano, l’editore scelse deliberatamente di non indicare il suo nome né sul frontespizio, né altrove). Mussolini, ricorda il suddetto storico italiano, in vista dell’imminente pubblicazione del saggio nel nostro Paese, e dopo aver segretamente pagato i diritti editoriali italiani con fondi pubblici, commentò orgogliosamente che, leggendo il libro, ci si rendeva conto che “il fascismo “da fenomeno italiano” era “diventato fenomeno universale”. E non il nazismo, che era una sorta di filiazione».
Va tuttavia ricordato che lo stesso Duce, a dire il vero, non considerava “Mein Kampf” un testo di particolare pregio, ed infatti lo definì “un mattone”, anche se “leggibile solo dalle persone più colte e intelligenti”. Qualsiasi sia l’opinione su quel celebre saggio, è indiscutibile che esso costituì un pilastro fondamentale della folle ideologia nazista, e che purtroppo contribuì a far diventare Adolf Hitler il personaggio storico più influente del XX secolo. La sua scellerata visione, fortemente intrisa di abietti pregiudizi razziali, di odio, e di inquietanti mire espansionistiche, ha infatti inciso in maniera indelebile sulla storia recente dell’umanità, lasciando una traccia orribile assai difficile da cancellare. A noi, pertanto, il compito di tramandare alle nuove generazioni il concetto che ci sono “battaglie” e “battaglie”, e che quella propugnata e poi combattuta dal crudele dittatore tedesco era una di quelle che ci saremmo evitati volentieri…
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