Il saggio
06.06.2025 - 14:00
La nostra Costituzione è universalmente considerata come tra le migliori e le più complete del mondo, e ciò non solo in quanto costituisce il mirabile ed equilibrato frutto di una trasversale volontà politica (circostanza, questa, che non è poi così tanto usuale), ma anche e soprattutto perché ha l’indubitabile pregio di riuscire a garantire il rispetto e la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo. Il nostro testo costituzionale è stato oggetto – per ragioni più o meno condivisibili, spesso legate a situazioni di naturale “ricambio politico” – di frequenti proposte di modifica; proposte che, in alcuni casi, avrebbero tuttavia avuto l’effetto di stravolgerlo in maniera inaccettabile, rendendolo “irriconoscibile” rispetto all’originaria formulazione, ed ai nobili principi in esso contenuti. Compito delle forze politiche, del corpo elettorale, della magistratura e degli studiosi del diritto (normalmente definiti “costituzionalisti”), è anche quello di “sorvegliare” il rispetto e la tenuta della nostra carta costituzionale, e ciò affinché essa continui a essere un imprescindibile punto di riferimento dell’intero sistema repubblicano.
Su questo complesso e delicato argomento è stato da non molto pubblicato, a firma di uno dei più importanti e conosciuti costituzionalisti italiani, Gustavo Zagrebelsky, un interessante ma impegnativo saggio (ma forse sarebbe meglio definirlo come una vera e propria “riflessione giuridica”), intitolato “Tempi difficili per la costituzione – Gli smarrimenti dei costituzionalisti” (Laterza Editore – 133 pagine). L’autore, partendo dal condivisibile presupposto che «la Costituzione è senza dubbio il migliore prodotto politico-culturale delle vicende del nostro secondo dopoguerra», poi chiarisce che «gli studi costituzionali ruotano su un perno comune che è la Costituzione, e la Costituzione è un dato dal quale ci si aspetta lo svolgimento di un compito politico-storico concreto, vale a dire tenere insieme, e far convivere, pezzi della società che altrimenti sarebbero pezzi sparsi». E ciò perché mentre “unire è costituzionale”, dividere, invece, è “anticostituzionale” per natura.
La sua acuta riflessione risulta alimentata dalla considerazione che «la più importante ed elevata delle fonti del diritto sia anche la più fragile». Tale suo “punto critico” emerge soprattutto nei periodi di particolare irrequietezza istituzionale, politica e sociale, quale è quello attuale. Proprio per questo motivo vi è sempre la necessità che tutti coloro i quali hanno il potere o il compito di modificarla, siano dotati di sani ed illuminati principi ideologici. Questo perché (osserva Zagrebelsky in ossequio con l’opinione di Charles Maurice de Talleyrand), lo Stato ha sempre un’implicita “funzione educatrice”. Essa si manifesta proprio attraverso la carta costituzionale, la quale, per poter compiutamente esplicare la sua funzione, richiede però il rispetto di “un’etica pubblica conforme”, che deve aiutare chi di dovere ad accantonare le naturali divisioni politiche che sono connaturate a qualsiasi confronto ideologico. A ben vedere fu proprio tale “etica condivisa” che consentì all’Italia repubblicana, nata il 2 giugno del 1946, sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale, di ricostruirsi.
Osserva infatti l’autore del saggio: «Nella pur varia presenza di forze politiche, sociali, culturali e religiose, si manifestò una forza etica più forte: la comune consapevolezza che non si poteva fallire, che lo Stato da ricostruire era il traguardo che ad ogni costo doveva essere raggiunto, pena l’anomia che è causa di ulteriori divisioni e lacerazioni, se non anche di rinnovata guerra civile. E una costituzione, miracolosamente, fu deliberata… una costituzione che fonda uno Stato». Tale “miracolo politico e sociale” aiutò il nostro Paese a rinascere. Perché, si domanda Zagrebelsky, «per uscire dal caos e mettere fine a guerre civili, per voltare pagina dopo il crollo di regimi precedenti, per conquistare la libertà, per superare razzismi, divisioni politiche, sociali ed etniche, per seminare scorie di un passato abietto e guardare avanti, per garantire diritti emergenti di minoranze etniche, religiose e linguistiche, per difendere l’ecosistema dagli assalti delle potenze economiche e politiche fagocitartici: per tutto questo, a che cosa ci si rivolge, se non alla Costituzione?». Se appare scontato che le suddette, impegnative domande trovino – di fatto – un’univoca, condivisibile, “retorica” risposta, è anche vero che poi, a causa di insoddisfacenti e generalizzati comportamenti della moderna classe politica, purtroppo, esse, non beneficiano quasi mai di un concreto riscontro.
L’autore, infatti, evidenzia opportunamente che «una volta che gli attori politici si siano liberati dagli affanni immediati, entra in funzione quella che sembra essere una legge universale, la legge della corrosione… all’inizio è potente la comune volontà di costituzione. Subito dopo, ottenuto lo scopo e la garanzia della propria sicurezza, la forza coesiva della costituzione di affievolisce, e possono così farsi avanti le forze corrosive – i tarli – che si avvalgono strumentalmente dei poteri offerti dalla stessa costituzione per piegarla ai propri interessi particolari. Che cosa sono i tarli? Sono i partiti “partigiani”, le lobbies, le associazioni più o meno segrete, i “giri” di potere nascosti, le corporazioni, le oligarchie economico-finanziarie: tutte forze che, quiescenti o relativamente impotenti nel momento costituente, si affacciano, o si riaffacciano, subito dopo… le costituzioni sono, dunque, grandi e pretenziose costruzioni, ma sono fatte di materiali corruttibili. La “grande politica”, che è quella del momento costituzionale, cede naturalmente il passo alle “piccole politiche”, che sono quelle di ogni giorno».
Proprio tale “naturale ed inevitabile degenerazione”, a ben vedere, è la madre delle frequenti tentazioni di modifica dei testi costituzionali. Anche quando essi siano ancora attuali e validi. E se – osserva Zagrebelsky – è giusto che gli individui siano «liberi di darsi le costituzioni che preferiscono», e che «ogni generazione dei viventi è autorizzata a ricominciare sempre da capo la propria esperienza costituzionale e la pretesa di vincolare le generazioni future è un arbitrio», è anche vero che, «a proteggere la costituzione dal rischio dell’emergenza che degenera in eccezione che mira a diventare regola, ci devono essere i costituzionalisti e i tribunali costituzionali».
Auspicando però che anche essi facciano sempre il loro dovere. E ciò in ossequio ai nobili principi che sancisce proprio la carta costituzionale che loro stessi sono chiamati a rispettare ed a difendere…
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