Il personaggio
04.08.2023 - 21:00
Il 20 luglio di cento anni fa venne assassinato a Parral – cittadina dello stato di Chihuahua, nel nord del Messico – uno dei personaggi più emblematici e controversi della storia di quel Paese centroamericano. Stiamo parlando di José Doroteo Arango Arámbula, meglio noto, al mondo, con lo pseudonimo di Pancho Villa. Non solo è considerato (assieme ad un altro suo celebre conterraneo dell'epoca, Emiliano Zapata, anche lui ucciso in un agguato, nel 1919), l'emblema di un "romantico ed illuminato banditismo", ma è famoso anche perché ebbe un ruolo oggettivamente rilevante durante la cosiddetta "Rivoluzione messicana" (1910-1920) che, grazie al suo carattere popolare, agrario e nazionalista, è stata giustamente considerata da molti come il primo grande fenomeno di sovvertimento politico del Novecento ad avere peculiarità prettamente "sociali". La storia personale di Pancho Villa cominciò nel 1894, quando aveva soltanto sedici anni.
Quel ragazzo dagli occhi vivaci fu infatti costretto a darsi improvvisamente alla macchia per riuscire a sfuggire alla polizia poiché aveva tentato di uccidere l'uomo che aveva molestato sessualmente la sorella. Durante la sua lunga latitanza divenne in breve tempo un famoso e temuto fuorilegge. Tuttavia, grazie ad una bontà d'animo di fondo, ad una intelligenza non comune, ad una straordinaria capacità di riuscire a coltivare giuste relazioni ed utili rapporti sociali e ad una appassionata "visione politica", fu in grado di creare attorno a sé un folto gruppo di epigoni.
Raggiunse questo obiettivo anche perché era aduso distribuire ai più poveri una parte del bottino che riusciva a sottrarre ai ricchi latifondisti delle zone nelle quali "operava". Grazie a questo suo generoso ed insolito "modus operandi" si trasformò, quindi, in una sorta di Robin Hood o di Guglielmo Tell messicano, cosa che lo pose ben presto in buona luce agli occhi di Francisco Madero (politico liberal-progressista che voleva provare a rendere il Messico uno stato più democratico e sociale, sovvertendo finalmente la lunghissima dittatura di Porfirio Díaz). Proprio in forza di questo solido "legame ideologico", diventò un ufficiale dell'esercito irregolare di Madero, che stanziava soprattutto sui monti della Sierra Nevada, ed agiva spesso – mediante efficacissime azioni di guerriglia – come gli indiani Apache e Comanche.
Nonostante una convinta visione politica particolarmente attenta alle questioni sociali ed alle esigenze dei più poveri e diseredati, Villa aveva anche una lucida percezione della realtà e dell'intima natura umana; tanto è vero che, una volta, ebbe a dire: «La parità e l'uguaglianza non esistono, né possono esistere. È una menzogna che possiamo essere tutti uguali; si deve dare a ognuno il posto che gli compete… Che cosa sarebbe il mondo se fossimo tutti generali, capitalisti o se fossimo tutti poveri? È giusto che tutti aspirino a qualcosa di più, ma allo stesso tempo che a noi si riconosca il valore delle nostre azioni».
La legittimazione politica ricevuta da Madero trasformò il "bandito" Pancho Villa, in un vero e proprio "guerrillero", dotato di grandi capacità ma anche di un cuore assai tenero. Così lo descrisse infatti lo storico marchigiano Ruggiero Romano in un suo interessante contributo sulla rivoluzione messicana: «Abitualmente vestito di scuro, e con abiti di cuoio, si presenta con tutti i tratti esteriori del bandito buono: crudele con i nemici ma generoso con i suoi; leale con gli amici, ma spietato con gli avversari…».
La vita di Villa vide alternarsi momenti di grande successo e rovinosi rovesci. Arrivò infatti addirittura vicino a candidarsi alle elezioni presidenziali messicane del 1924 (e probabilmente fu proprio tale sua decisione ad infastidire i suoi più acerrimi nemici e la plausibile ragione del suo assassinio…). Ma fu anche arrestato diverse volte. Questa turbolenta e dolorosa esistenza non solo lo indusse a dire, in più occasioni, non senza una evidente amarezza, che «la mia vita è stata una tragedia», ma stimolò anche il grande scrittore e giornalista John Reed a volerlo incontrare ed intervistare, ciò con l'obiettivo di portare a compimento un interessante reportage sulla "romantica figura" del baffuto guerriero senza paura e sulla cosiddetta "guerra dei peones". Reed lo considerava un vero e proprio "soldato del popolo", per di più dotato di grandissimo coraggio. Tanto è vero che non ebbe alcun timore di mettersi contro gli Stati Uniti. Nel 1916, infatti, con soli trecentocinquanta fedelissimi – ex contadini e fuorilegge come lui – attaccò e distrusse una guarnigione militare americana in Nuovo Messico.
A seguito di questa sua eclatante iniziativa militare il presidente statunitense Wilson mise sulla sua testa una taglia di ben cinquemila dollari (che, all'epoca, era una somma davvero enorme), ed ordinò contro di lui una caccia all'uomo senza precedenti. Vennero utilizzati oltre diecimila soldati, comandati dai generali Pershing e Patton, e furono impiegati tutti i mezzi più moderni dell'epoca: camion, motocarri, motociclette, blindati, dirigibili e persino aerei da combattimento. Ma fu tutto inutile. Anche perché Villa era dotato di un intuito militare non comune e di una notevolissima acutezza strategica.
Scrisse infatti sempre Ruggiero Romano: «Da guerriero giunge a trasformarsi in un grande generale. La sua capacità di comprendere e di assimilare è straordinaria: in brevissimo tempo intuisce il modo di impiego dell'artiglieria… comprende il senso dell'intervento dell'aviazione nei combattimenti al suolo, ed arruola dei piloti statunitensi fra i suoi uomini; assimila il senso dell'importanza della guerra di movimento ed impara a fare spostare le sue truppe con i treni, impiegando anche treni blindati; accetta quella che, nel 1910, è ancora in un certo senso una novità: il combattimento notturno; nelle cariche di cavalleria è maestro incomparabile, ma ciò non gli impedisce di comprendere anche l'importanza dei combattimenti di trincea…».
Pancho Villa morì, di fatto, per "colpa" di una donna. Nel luglio del 1923 si recò a Parral per fare da padrino di battesimo del figlio di un suo amico. In quella località aveva un'amante, tale Manuela Casas, con la quale decise d'intrattenersi piacevolmente per qualche giorno, dopo la cerimonia. Il 20 di luglio si preparò per ripartire verso Canutillo, dove viveva da tempo. Ma non arrivò mai a destinazione. Mentre era alla guida della sua auto e stava uscendo dall'abitato, qualcuno di vedetta gridò "Viva Villa!". Quello era il segnale concordato dai suoi assassini. Un gruppo di armati, mai identificati, che erano nascosti dietro le finestre delle case che affacciavano sulla strada, cominciò a sparare all'impazzata, uccidendo sul colpo lui ed altri tre passeggeri.
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione