Il personaggio
14.07.2023 - 21:30
Il 20 luglio di cinquant'anni fa morì ad Hong Kong – in circostanze in verità mai del tutto chiarite – uno dei personaggi più iconici della cinematografia del secondo Novecento: l'attore, sceneggiatore, regista e produttore cinese con cittadinanza statunitense Bruce Lee. Attraverso i suoi celebri film, ma soprattutto grazie alla sua leggendaria fisicità (che nell'immaginario collettivo è sempre stata la rappresentazione per antonomasia della forza, dell'agilità e della rapidità), ha avuto l'indiscutibile merito di riuscire a far conoscere al grande pubblico alcune delle discipline di combattimento orientali, contribuendo inoltre ad incrementare notevolmente la spettacolarizzazione delle scene dei film di azione.
Cosa che – se ci si pensa – ha poi inciso in maniera profonda sul tipico sviluppo narrativo di gran parte della cinematografia di genere. Tutti conoscono Bruce Lee come attore. Pochi, invece, sanno della profonda spiritualità che aveva e che caratterizzò la sua esistenza. Era infatti considerato una specie di "filosofo", qualifica che gli derivava dagli studi universitari (che aveva portato avanti in gioventù, senza tuttavia mai terminarli), ma anche dalla lucidità e dalla lungimiranza con la quale valutava sempre il mondo circostante e le persone che frequentava, e dalla profondità di pensiero che possedeva, e che era obiettivamente non comune.
A dimostrarlo ci sono le riflessioni intime contenute nei numerosi diari personali che Lee scrisse, e che solo in parte sono stati poi pubblicati postumi. Il principio generale sul quale egli fondava tutta la sua filosofia di vita era: "Sii acqua". Egli riteneva infatti che bisognasse assomigliare il più possibile a quell'elemento naturale, il quale è estremamente duttile perché riesce ad adattarsi a qualsiasi contenitore, ed è – al tempo stesso – cedevole e forte, e spesso inarrestabile.
Questa folgorazione interiore avvenne durante la sua adolescenza, e precisamente quando un giorno si trovava da solo su una piccola barca poco fuori del porto di Hong Kong, e stava rimuginando sulle motivazioni che gli impedivano di assimilare i principi che il suo primo maestro di arti marziali, tale Yip Man, stava cercando di impartirgli: «Non metterti mai contro la natura», gli aveva detto il suo insegnante, e «non affrontare mai nessun problema di petto, ma controllalo, oscillando con esso».
Lee non riusciva tuttavia a capire cosa dovesse fare in concreto, per riuscirci. In preda alla frustrazione colpì violentemente la superficie marina con la mano. E un'illuminazione improvvisa lo colse: «Quell'acqua mi aveva illustrato il principio del kung fu. L'avevo perforata, ma essa non aveva subìto danni. La colpii di nuovo con tutte le mie forze, ma non era ferita! Cercai allora di afferrarne una manciata, ma questo si rivelò impossibile. Quell'acqua, la sostanza più malleabile in assoluto, che poteva essere contenuta nel più piccolo vaso, sembrava debole. In realtà poteva penetrare nelle sostanze più dure del mondo. Ecco! Volevo essere come la natura dell'acqua».
Egli si rese allora conto che la vita – come l'acqua – è alimentata da un moto perpetuo che bisogna saper assecondare alla ricerca dell'armonia. Questa intuizione lo indusse a comprendere che l'acqua era una vera e propria metafora del kung fu, e che la "filosofia del movimento" poteva aiutarlo a rimuovere gli ostacoli quotidiani, a trovare un equilibrio interiore, e a fargli imparare tante cose. Inoltre gli diede anche la giusta ispirazione per creare una nuova arte marziale, il "jeet kune do", la quale era infatti basata sul raggiungimento di "uno stato fluido" fisico e mentale capace di adattarsi alle infinite circostanze (di combattimento e di vita).
La figlia Shannon Lee – in un recente libro che ha dedicato al profondo pensiero paterno – così infatti scrisse a tal proposito: «Quando mio padre creò l'arte marziale del "jeet kune do" si preoccupò molto di stabilire dei precisi principi filosofici per accompagnarla. Tali principi avevano lo scopo di coinvolgere tanto il corpo quanto la mente e lo spirito, ed erano una componente chiave per proteggersi dall'esercitazione meccanica e dall'allenamento superficiale. Il jkd enfatizza l'assenza di forma e il movimento non telegrafico, movimento che avviene in modo così istantaneo e in perfetta risposta alla situazione reale che l'avversario non può prevederlo. La filosofia allegata al jkd ha lo scopo di radicare il praticante in uno stato fluido e presente, per mantenerlo flessibile e capace di iniziare e rispondere al cambiamento. E si può rispondere al cambiamento solo se si ha abbastanza mobilità nell'approccio per farlo».
L'attore, a tal riguardo, lasciò scritto quanto segue: «Desidero infondere lo spirito della filosofia nelle arti marziali; perciò insisto per studiare filosofia. La filosofia porta il mio "jeet kune do" in un nuovo regno nella sfera delle arti marziali». Per riuscire in questo suo difficile intento Lee riteneva che fosse necessario svuotare la mente da ogni preconcetto e pregiudizio, rimettendo sempre in discussione le proprie convinzioni; ciò al fine di rendersi disponibili a valutare, e se necessario anche ad accogliere, gli aspetti utili di ogni conversazione, ogni interazione ed ogni esperienza. Vivendo quindi – se possibile – una "equilibrata neutralità". Che tuttavia non significa affatto "inerte indifferenza"; semmai, semplicemente, sublima la disponibilità interiore dell'uomo saggio, in equilibrio con se stesso, a "vedere puro", a capire la verità, se necessario anche avendo il coraggio di ricredersi rispetto ai propri originari convincimenti. E questo perché spesso uno dei più grandi errori dell'essere umano è il modo in cui esso si pone di fronte alle difficoltà quotidiane. Sosteneva infatti Lee: «È la nostra reazione alle situazioni difficili ciò che conta di più, e non la situazione in sé… Ho imparato che in ogni situazione difficile conta solo una cosa, ossia la reazione a essa».
Tale "nirvana" può essere raggiunto soltanto attraverso un'adeguata meditazione, che aiuta a "svuotare la tazza" dei nostri pensieri. «Svuota la tua mente; sii senza limiti, senza forma, come l'acqua… In Occidente pensiamo al nulla come a un vuoto, a una non esistenza. Nella filosofia orientale e nella fisica moderna, invece, il nulla è una forma di processo, un perpetuo movimento».
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione