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Viviamo strani giorni aspettando l'apocalisse

Guerre, pandemie e fine del mondo. L'analisi (e i suggerimenti) di Adrien Candiard, padre domenicano francese

Viviamo strani giorni aspettando l'apocalisse

I tempi che stiamo vivendo sono obiettivamente inquietanti. La pandemia, la guerra, i cambiamenti climatici, le crisi economiche ed una generalizzata perdita dei valori morali, hanno eroso in maniera profonda la nostra fiducia verso il futuro; evocando, in maniera più o meno consapevole, il terribile spettro della "fine del mondo". Al fine di comprendere le origini e le ragioni di questi giorni difficili, ma – soprattutto – di proporre al lettore una convincente via di fuga al nostro quotidiano pessimismo, il padre domenicano francese Adrien Candiard ha da poco pubblicato, per i tipi della Libreria Editrice Vaticana, un volumetto intitolato "Qualche parola prima dell'apocalisse – Leggere il Vangelo in tempi di crisi" (99 pagine).

Esso, anche se non sempre risulta "convincente" nelle argomentazioni, induce tuttavia ad alcune profonde e proficue riflessioni. Così si può leggere nella bandella di copertina dell'interessante pamphlet: «Questo è un libro prezioso: aiuta il lettore a interpretare la nostra epoca senza scadere nella disillusione o cedere allo sconforto, anzi attingendo dalla Parola di Dio una consolazione autentica e un'audacia rinnovata… I segnali che la storia ci manda sembrano i prodromi dell'apocalisse… ma cosa ha da dire il Vangelo su tali eventi "ultimi"? Candiard offre una risposta provocatoria: "Tutto il paradosso della Buona Novella sta qui: che bisogna forse accettare di parlare un po' della fine del mondo per ritrovare, in questo stesso mondo, un pizzico di speranza. Infatti il Vangelo non è un manuale di saggezza che somministra buoni consigli per affrontare le difficoltà: esso svela il Regno di Dio".

Apocalisse, del resto, significa "rivelazione"». Per accompagnarci nel cuore delle Sacre Scritture, con l'obiettivo di condurci ad una presa di coscienza del senso dei nostri tempi, e di darci, attraverso la profondità della religione, qualche consolatoria "certezza", l'autore osserva che «essere cristiano o religioso non basta a cancellare la mia apprensione davanti a questa irruzione, tutto sommato improvvisa, del tragico del nostro mondo, o perlomeno del mio universo». Ed evidenzia che nonostante i Sacri Testi siano pieni di immagini apocalittiche, di racconti drammatici e di funesti annunci di cataclismi, è proprio la lettura degli stessi, ed una loro attenta ed illuminata interpretazione, che può regalarci la speranza; e questo perché «la fede cristiana non ci lascia del tutto disarmati davanti all'accumularsi di tante catastrofi; al contrario, essa ci propone delle risorse, sicuramente sottostimate e troppo poco prese in considerazione dai credenti stessi».

La risposta ai mali del mondo – secondo Candiard – non risiede nella scienza (la quale, nel corso dei secoli, è comunque riuscita a spiegare razionalmente molti fenomeni naturali), ma proprio nella fede. Tale crescente "approccio illuminista", figlio di un costante e crescente progresso scientifico, se da un lato ha infatti offerto all'uomo spiegazioni tutto sommato convincenti di eventi che, con il peccato, hanno (ovviamente) ben poco a che fare, dall'altro ha fatto in modo che l'umanità abbia però progressivamente finito per lasciare frettolosamente «le spiegazioni teologiche dietro le spalle». Nessuno, ad esempio, osserva acutamente l'autore del breve saggio, dopo lo scoppio della pandemia da Coronavirus si è infatti «azzardato, nel corso dei dibattiti sulle responsabilità del pangolino o dei laboratori cinesi, a proporre il buon Dio per allungare la lista dei sospetti.

Quando la biologia fa il suo lavoro, la teologia è inutile… Abbiamo confinato Dio entro i limiti della vita spirituale». Ed allora «…la nostra attualità drammatica ci sollecita a rileggere i discorsi di Gesù, ed a restituire a Dio un posto nella storia del mondo… Gesù ci offre alcuni elementi per decodificare la fine dei tempi: sta a noi produrci in un piccolo sforzo di interpretazione». Candiard ritiene cioè che l'Apocalisse, della quale parla il Cristo, in realtà non debba essere semplicemente intesa come «il momento in cui tutto si arresterà», bensì – più serenamente – il momento del «compimento verso cui tende tutta la storia umana».

Del resto «il termine "apocalisse" significa "svelamento", "rivelazione"», e quindi «un discorso apocalittico non è un rebus da decifrare, ma semmai un senso da accogliere», che ci deve condurre lontano dal peccato. Esso, infatti, «non è senza conseguenze… il male fa male. Non è semplicemente proibito, è soprattutto distruttore». E se è vero che «…di certo il peccato umano non rende conto di tutte le catastrofi…», e che «…sarebbe ovviamente ingenuo pretendere di combattere i disastri climatici affidandosi unicamente alla preghiera» è anche vero che «…non sarebbe meno ingenuo immaginare di vincere il male senza affrontare le cause alla radice, e dimenticare che il primo luogo dove posso pensare di sradicarlo è la mia propria vita».

Lo scrittore domenicano suggerisce pertanto di farlo affidandosi alle parole di Gesù, il quale, «nel bel mezzo del suo discorso apocalittico, mentre sta annunciando guerre, carestie e terremoti, osa lanciare un… (coraggioso, oseremmo dire noi…) …"non allarmatevi!". Egli lo fa, osserva sempre Candiard, «perché sa che la morte non è il peggiore dei mali… Cristo ci promette che, da questo mondo minacciato da ogni parte, nascerà un mondo nuovo, vincitore della violenza e della distruzione… la vera rivelazione del discorso apocalittico è quindi quella del nostro vero fine, del nostro scopo, della nostra ragion d'essere: l'amore di Dio che ci divinizza… perché noi non sapremmo amare se non fossimo mai stati feriti».

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