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Il personaggio

L'ultimo comunista, Enrico Berlinguer a quarant'anni dalla scomparsa

Il 25 maggio avrebbe compiuto cento anni. La questione morale, i partiti e la degenerazione della politica: la sua analisi si conferma lucida e soprattutto ancora attuale

Il prossimo 25 maggio avrebbe compiuto cento anni uno dei politici italiani più influenti e rispettati del secondo dopoguerra: Enrico Berlinguer. La sua figura, a distanza di quasi quarant'anni dall'improvvisa morte (che avvenne l'11 giugno del 1984 a seguito di un'emorragia cerebrale che lo aveva colpito qualche giorno prima, a Padova, durante un comizio), risulta infatti ancora oggi talmente forte e carismatica da rappresentare, soprattutto per la sinistra più "illuminata", un indiscutibile punto di riferimento politico e morale.

Per avere conferma di ciò basterebbe del resto rileggere (con la giusta attenzione e con il dovuto distacco che il tempo trascorso inevitabilmente suggerisce di usare), la celebre intervista che Berlinguer concesse ad Eugenio Scalfari, e che venne pubblicata sul quotidiano "La Repubblica" il 28 luglio del 1981. Il giornalista Luca Telese, autore di una nota a margine al testo di quell'intervista (recentemente pubblicata dall'editore Aliberti), riporta le parole del direttore di quel quotidiano, al ricordo di quel memorabile "incontro": «Parlammo ore. Segnai pochi appunti e poi ricostruii di getto tutta l'architettura del discorso. Berlinguer era uno dei pochi politici che mi considerava e di cui mi consideravo amico. Poteva capitare che cenassimo insieme, a casa mia o a casa sua. Ancora più frequentemente a casa di Tonino Tatò. Ma quando poi l'intervista era scritta, con lo stesso Tatò iniziava un lavoro minuzioso di limatura. Di quell'intervista toccammo poco o nulla. E mi accorsi subito che la sua portata avrebbe trasceso quella della cronaca politica».

Ed in effetti, durante quella "chiacchierata", l'allora segretario del Partito Comunista Italiano (che, all'epoca, era di gran lunga il più importante di quelli esistenti nel mondo occidentale) espresse opinioni che non solo finirono per incidere profondamente sulle coscienze di molti italiani, ma costituirono un "punto di rottura" che cambiò per sempre il giudizio dell'opinione pubblica sull'effettiva affidabilità della politica dei partiti.

Berlinguer esordì infatti dicendo, senza mezzi termini: «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la Dc: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso, e per i socialdemocratici peggio ancora...».

Questa lucida e spietata analisi fa comprendere, senza alcuno sforzo, il livello degenerativo morale che già da allora inquinava sin nel profondo la scena politica italiana e che poi avrebbe condotto alla sonora deflagrazione di "Tangentopoli" (scandalo che scoppiò il 17 febbraio del 1992, che condusse il nostro Paese alla "Seconda Repubblica", e poi – di fatto – aprì le porte all'avvento, sulla scena politica italiana, di Silvio Berlusconi).

Berlinguer, nella sua intervista a Scalfari, continuò poi il suo accorato "j'accuse" puntando il dito – senza troppi giri di parole –contro il sistema clientelare che intorbidiva ed avvelenava il nostro Paese: «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai tv, alcuni grandi giornali...
Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti... sono macchine di potere che si muovono soltanto quando è in gioco il potere: seggi in comune, seggi in parlamento, governo centrale e governi locali, ministeri, sottosegretari, assessorati, banche, enti. Se no, non si muovono. E quand'anche lo volessero, così come i partiti sono diventati oggi, non ne avrebbero più la capacità».

Tale articolata valutazione critica – che ad ogni buon conto sembra comunque "parziale", poiché sostanzialmente salvava il Partito Comunista da buona parte delle responsabilità in quanto forza politica di opposizione –come è agevole intuire conteneva gli elementi basilari di una "questione morale"che si professava urgente ed indifferibile, ma che, già allora, appariva quasi sconfitta in partenza. Tanto è vero che le stesse parole di Berlinguer (soprattutto se lette oggi, con il senno del poi), sembrano foglie in balìa del vento incontrollabile, ed incontrollato, della politica; intesa quanto meno nel suo senso più deteriore.

Il dirigente comunista era animato da un forte spirito ideologico che lo indusse a distinguere (in parte, per la verità, a ragione) i comportamenti attribuibili agli esponenti del suo partito rispetto a quelli dei "partiti di governo". Tanto è vero che l'allora segretario del Pci così confessò all'amico Scalfari: «La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche... Un giornalista invitò una volta a turarsi il naso e a votare Dc. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?».

Bisogna essere sinceri: l'encomiabile sforzo morale e ideologico di Berlinguer (nonostante alcune sue discutibili convinzioni che appaiono anche oggi come di semplice "schieramento"), è risultato vano. Perché le cose, all'interno del sistema politico italiano, non sono cambiate affatto.

Anzi, se possibile, sono addirittura peggiorate (questa è almeno la mia personalissima percezione). E la cosa più grave è che – molto probabilmente – a "tradirlo", ed a tradire la sua memoria politica, siano stati anche coloro i quali avrebbero dovuto raccogliere la sua nobile eredità. Cosa che inevitabilmente induce a ritenere poi non così lontani dalla verità due celebri aforismi: «La politica è l'arte di fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» (Auguste Emile Bergerat), e «Se votare servisse davvero a qualcosa, non ce lo farebbero mai fare» (Mark Twain). 

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