Spazio satira
Dal libro al cinema
19.05.2025 - 14:00
È stata riproposta recentemente in televisione la versione cinematografica del “La Ciociara”, realizzata come si sa dai tre giganti dell’arte e della cultura: Alberto Moravia, Vittorio De Sica e Sofia Loren. Una pagina di storia, di storia comune purtroppo, vissuta e rivissuta tante volte nelle vicende umane: la violenza dell’uomo sull’uomo, in questo caso quella ancora più nefanda e imperdonabile, dell’uomo assatanato sulla donna inerme, uno dei crimini peggiori, mai abbastanza punito, nemmeno oggi: soltanto nella Bibbia, quindi già migliaia di anni fa, per la violenza sessuale era normale la lapidazione, senza pietà. Che cosa è stato il famoso ratto delle sabine della storia di Roma antica se non un episodio di stupro collettivo, pur se una storiografia ipocrita e falsa lo ha rivestito di un paludamento quasi romantico e sentimentale? Tratta dal romanzo “La Ciociara” di Alberto Moravia, la versione cinematografica di Vittorio De Sica illustra e documenta un episodio di violenza avvenuto dopo la distruzione e presa di Cassino, quasi in contemporanea allo sbarco in Normandia, cioè verso maggio 1944, a sconfitta ormai avvenuta del Nazismo: lo stupro che il film ricorda viene perpetrato sulle montagne intorno a Fondi in Ciociaria.
Impareggiabile, quasi miracolosa la interpretazione, pluripremiata, di Sofia Loren che, le primitive cioce ai piedi, assiste al martirio della figlia Cesira! È uno scherzo della storia che queste medesime montagne abbiano assistito, un secolo prima, per anni e anni, alle imprese dei famigerati briganti di Sonnino, Itri, Monte San Biagio, di Lenola, ecc... per i quali anche la violenza sulle donne era un ingrediente quasi normale delle loro imprese! Alberto Moravia fa scorrere sotto gli occhi un episodio della seconda guerra mondiale di cui attori e protagonisti sono i nordafricani del Maghreb, in gran parte tribù marocchine, adibite ad assalti di prima linea o ad azioni particolari dell’esercito francese: oggi di migliaia di soldati sul fronte terribile di Cassino restano le croci con i nomi nei cimiteri della zona. Quello dei tedeschi, degli inglesi, dei francesi, dei polacchi, degli italiani…
E se si percorre la statale tra Venafro e Isernia nel Molise, a un certo punto si incontra un cimitero francese, molto ben tenuto, rivolto verso la Mecca: qui sono sepolti nordafricani delle varie etnie, in numero di sei-settemila, il destino finale di questa tragica umanità di cui si parla nel film e nel libro.
Le ormai tristi marocchinate ancora oggi sono storia di vita indimenticabile in certe località del Basso Cassinate e non solo. Il libro di Alberto Moravia ha anche un risvolto geografico molto significativo e cioè è la prima volta che il termine “ciociaro” pur conosciuto e sperimentato nella storia dell’arte da anni, ora grazie a Moravia, irrompe nel pubblico con risultati quasi rivoluzionari: infatti è la prima volta, grazie anche al successo strepitoso e planetario della pellicola cinematografica, che il termine assume una connotazione identitaria e quasi assiomatica, è la prima volta che quelle zone vengono riconosciute, anzi riappropriate, in modo ormai indiscutibile come “Ciociaria”.
In realtà certe contingenze politiche della storia, alludiamo all’epoca mussoliniana, hanno in qualche modo stravolto e fatte cadere quasi nell’oblio le comuni radici e tradizioni e storia plurisecolari di questi luoghi: anche personaggi di rilievo hanno dato il loro apporto culturale alla ciociarità di questi luoghi, come il regista Giuseppe De Santis di Fondi coi suoi indimenticabili film (“Riso amaro” e “Non c’è pace tra gli ulivi”) e Libero de Libero pure di Fondi, scrittore e poeta, coi suoi scritti e le sue poesie, e non per ultimo il pittore, anch’egli fondano, Domenico Purificato.
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