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Il personaggio

Chi era il marchese Raniero Paulucci di Calboli. Un amico dell’emigrazione ciociara

Unì sensibilità, cultura e denuncia sociale coraggiosa. Diplomatico e scrittore, raccontò lo sfruttamento dei piccoli italiani all’estero tra Ottocento e Novecento

Chi era il marchese Raniero Paulucci di Calboli. Un amico dell’emigrazione ciociara

Tokyo, febbraio 1920, il marchese Raniero Paulucci di Calboli (al centro) nel giorno della presentazione delle credenziali all'imperatore Taish, Giacomo Paulucci di Calboli (a sinistra) e il Gran Ceri

Il marchese Raniero Paulucci di Calboli (1861-1931) di antica schiatta di Forlì, fu un diplomatico in servizio prima all’Ambasciata d’Italia a Londra fino al 1894 per circa cinque anni e poi in quella di Parigi dal 1895 per circa quindici anni. Successivamente ambasciatore e nel 1922 Senatore del Regno. Personaggio sensibile e ricco di umanità e partecipe consapevole di certi avvenimenti che marcarono la sua epoca. Scrisse poesie, racconti, inchieste particolari, coltivò le arti e gli artisti nutrendo speciale interesse per lo scultore Adolfo Wildt del quale raccolse molte opere che poi donò alla città avita di Forlì. Al momento del famoso “affare Dreyfus” che infiammò la Francia – l’ufficiale ebreo dell’esercito francese ingiustamente accusato e condannato per certe colpe pur essendo innocente – anche lui prese parte in suo favore convinto della innocenza e scrisse un energico e veemente intervento in suo favore, alla stessa epoca in cui anche lo scrittore Emile Zola redigeva il suo celebre contributo dal titolo “J’accuse”.

Questi fatti succintamente ricordati vogliono aiutare a inquadrare la figura di un personaggio di non comune valore e umanità al quale l’Italia e maggiormente la Ciociaria, molto devono grazie al suo impegno a favore dell’emigrazione dei propri figli per le vie del mondo: invero personaggio da ricordare e da onorare, come pochi. E il mondo che colpì Paulucci di Calboli fu quello degli artisti girovaghi che in quell’epoca erano numerosi non solo a Londra ma in tutta l’Inghilterra e la Scozia: suonatori di organetto o di piffero, ballerini o dando spettacolo col cane ammaestrato o con la scimmia, talvolta anche con il povero orso. E pervenne a un loro censimento arrivando a individuarne oltre duemila, in prevalenza suonatori di organetto, molti di piffero, poche decine di arpa e qualcuno di altri strumenti. E pur non menzionando la Valcomino (nessuno a quell’epoca conosceva questo angolo appartato dell’Alta Terra di Lavoro) riuscì a individuare la localizzazione della massima parte di questa umanità nomade, «sui monti degli Abruzzi e nella Campania» cioè, sappiamo, salvo due o tre eccezioni, a San Biagio, a Cardito di Vallerotonda, a Picinisco e certe sue frazioni, a Vallegrande di Villa Latina e a Cerasuolo di Filignano.

Il mondo ovattato e dorato nel quale viveva a Londra non gli impedì di guardarsi attorno con sguardo attento e di rilevare anche le storture e le crudeltà che vi si perpetravano: non erano i suonatori girovaghi in gran parte giovani sparsi per il Paese che lo colpirono, bensì i bambini in giro per le vie della città. La storia ci ricorda che a Londra i piccoli inglesi avevano trovato il loro paladino già una cinquantina di anni prima in Charles Dickens che ne aveva descritto la terribile condizione in pagine memorabili. Si ricordi che nei medesimi anni anche Giuseppe Mazzini, esule a Londra, aveva vissuto la medesima terribile esperienza ma con riferimento ai piccoli italiani in giro e se ne occupò fondando la famosa scuola italiana durata venti anni almeno per dare loro istruzione, il solo viatico alla consapevolezza e alla libertà!

Paulucci di Calboli invece quelli che vedeva in giro alla fine del 1800 erano gli sfortunati che continuavano ad arrivare dai medesimi luoghi, alle medesime condizioni, sotto la protezione del “padrone” e che facevano gli sciuscià o i lucidatori di scarpe e di stivali per le vie delle città o i venditori di statuette di gesso o fiammiferi o erano sguatteri o lavapiatti nei ristoranti o spazzacamini. Anche essi, come all’epoca di Mazzini, oltre cinquanta anni prima! Venivano dati in fitto quando non venduti, dai genitori, a personaggi che facevano di mestiere quello di farsi dare in affidamento queste creature in cambio di indennizzi periodici e sottoporle poi ai lavori più duri e più pericolosi, in condizioni esistenziali inimmaginabili, nella promiscuità, nella sporcizia, nella malattia, nell’ignoranza. Sporchi e laceri e affamati si aggiravano per le strade chiedendo l’elemosina q altrimenti ballando o saltellando o vendendo immagini sacre o terrecotte e altro. E guai per chi la sera non consegnava abbastanza soldi al “padrone”.

Stiamo parlando della “tratta dei bambini”, pagina terribile ancora non dovutamente indagata, come tutta la emigrazione ciociara. L’Italia dal 1873 emise provvedimenti a favore dell’infanzia abbandonata ma dovranno passare molti anni prima che la piaga almeno nelle linee generali si estinguesse, pur se la situazione durò, anche se in modo meno crudele che nel passato, fino agli anni 50 e 60 del secolo scorso allorché era abbastanza frequente che dei genitori “affidassero” i figli, maschi o femminine, a parenti o amici all’estero per farli lavorare e guadagnare e rimettere soldi. Tale mondo dello sfruttamento feroce e spietato di queste creature messe al mondo inconsapevolmente a dir poco, certamente per farle patire, offerte dunque in pasto alla miseria e alla abiezione, nonché la tratta dei bimbi e la situazione degli emigrati, sono stati fatti oggetto di un libro-inchiesta di Paulucci di Calboli divenuto pietra miliare della storia della emigrazione italiana: “I girovaghi italiani in Inghilterra ed i suonatori ambulanti” edito nel 1893.

Due momenti dunque: prima quello della tratta dei bimbi e poi quello dei giovani che guadagnavano il loro pane come artisti girovaghi, quasi tutti originari dai paesetti della Valcomino e alcuni bambini anche da Belmonte Castello. È l’emigrazione a Parigi che maggiormente tenne occupato Paulucci di Calboli, dopo la esperienza e gli scritti in Inghilterra. A Parigi trovò una situazione più articolata che si distingueva per tre fenomeni sociali specifici: le modelle e modelli di artista, i bimbi anzi la “tratta dei bimbi” - in Francia più vasta che in Inghilterra! - occupati in certe fabbriche o come spazzacamini e gli artisti girovaghi. Dall’indagine di Paulucci dì Calboli abbiamo la conferma che di 23 località da lui individuate di provenienza di questi, per limitarci a loro, bambini/fanciulli occupati in varie attività alla fine del 1800, 20 si trovavano nel cosiddetto distretto borbonico di Sora cioè, noi sappiamo, nella Valcomino e nelle Mainarde Molisane già ricordate… Qui dunque ci arrestiamo e rimandiamo chi ne vuol sapere ancora al libro: “Modelle e modelli ciociari nell’arte europea a Roma, a Parigi, a Londra nel 1800-1900”.

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