Spazio satira
L'intervista
13.05.2025 - 17:12
Giuliano Gabriele
Cantautore, indipendente, internazionale, organettista. Giuliano Gabriele, sorano di nascita e residente a Castelliri, è una risorsa del nostro territorio sia per il profilo artistico internazionale che per l’autorevolezza delle sue costruttive critiche al “sistema musica”. Il suo genere è popolare ma è anche popolare la diffusione della sua musica nel mondo. Non è un caso se il suo nome figuri tra i migliori musicisti del 2024 ne “Le Monde” o in “Songlines”, così come non è per coincidenza che il quotidiano svizzero “Le Temps” inserisca “Basta!” (Inoui Distribuzioni, 2024) tra gli album più apprezzati dell’anno o che Gabriele si sia esibito, il passato aprile, all’Atlantic Music Expo di Capoverde…
Italiano ma anche francese…
«Ho la doppia nazionalità. Mia madre è nata a Lyon da genitori italiani e da bambino, fino alla mia adolescenza, ho trascorso intere estati lì, dai miei nonni. La Francia fa parte della mia identità, oltre ad aver influenzato e ispirato fortemente la mia arte, e la considero la mia seconda casa».
Quando l’incontro con le 7 note?
«Sono cresciuto in una famiglia in cui la musica è sempre stata importante. Il mio amore per l’organetto deriva proprio dal mio bisnonno, Giacomo Lorini, musicista del gruppo folkloristico di Castelliri negli anni 30, soprannominato “Cantalcielo”. Successivamente mi sono avvicinato anche alla zampogna e al tamburello ma, soprattutto, ho scoperto la mia voce».
Che cosa è l’Orchestra Officine Meridionali?
«È il mio collettivo di musica popolare pensato per avere la possibilità di collaborare con artisti di tutto il meridione e sperimentare un repertorio, quello del Sud Italia, ricco di mediterraneità. Questo ensemble nasce dalle ceneri dell’Orchestra Tarantelliri, il Festival che si svolgeva a Castelliri da me diretto nelle prime edizioni tra il 2010 e 2015, nel quale noi musicisti locali ci esibivamo con ospiti più o meno famosi in un concertone, insomma, una specie di “Notte della Taranta” ciociara. Evento poi smantellato da politica e interessi personali. Indimenticabile è stata, per esempio, l’edizione con Nada accompagnata da Fausto Mesolella, in cui riarrangiammo i suoi pezzi più famosi in versione popolare, o l’incontro con Francesco De Gregori, Teresa De Sio e Ginevra Di Marco»
“Basta!”, e non è un’intimazione…
«Infatti, è il mio ultimo album, frutto di un lavoro durato quasi dieci anni, nel quale ho sfidato il passaggio da semplice suonatore di organetto a compositore e cantautore. Oltre a interpretarlo, ne ho firmato tutti i testi e le musiche. Riguardo ai contenuti si può dire che “canto forte l’amore e la rabbia”, quindi tutta la mia frustrazione verso questo mondo troppo ingiusto, spesso cieco e sordo, omologato, distratto e violento. Ne sentivo davvero l’esigenza, avevo bisogno di testi contemporanei che si sposassero bene con gli strumenti e la dimensione popolare. In effetti non ci sono molti album di musica popolare interamente cantati in italiano, di solito si usa il dialetto, e questa era un’altra sfida che volevo assolutamente affrontare. Artisticamente, invece, è una fusione trasversale delle esperienze musicali accumulate negli anni insieme ai miei collaboratori, dal pop fino al cantautorato, progressive, rap, rock, blues, classica, jazz ed elettronica».
Le sue interpretazioni strumentali sono anche teatrali…
«La teatralità proviene dalla mia forte appartenenza e dall’ammirazione verso la cultura popolare del Sud Italia, luogo in cui nasce e si nutre maggiormente tutto il mio immaginario artistico. A tal proposito mi piace ricordare le maschere zoomorfe dei carnevali antichi, che utilizzavamo nei nostri spettacoli, uso che prosegue oggi con le “maschere della coscienza”. Riguardo invece alla recitazione pura, ho avuto una sola incredibile esperienza al momento, nel 2011, quando ho affiancato con interventi musicali in scena il leggendario attore, coreografo, ballerino, mimo e regista britannico, Lindsay Kemp, maestro di David Bowie e Peter Gabriel».
Come si inserisce la sua musica nel territorio in cui vive?
«Purtroppo molto male, non solo nel territorio specifico in cui vivo ma, soprattutto, in Italia. Non c’è molto rispetto per il musicista performer e compositore che decida di fare esclusivamente questo nella propria vita, così come non c’è alcun tipo di tutela per chi desideri vivere di musica avendo poche possibilità economiche. Inoltre, assistiamo alla chiusura dei canali mediatici, in primis la Rai, per i musicisti indipendenti che cercano di farsi strada nel contesto artistico con generi non facilmente catalogabili».
Un’ultima domanda: che cosa è la musica per lei?
«È la mia religione, è la mia grande famiglia, è la mia ossessione, è il mio amore, è la mia speranza, è e sarà il mio messaggio impresso nel tempo...».
È proprio vero, «Dove le parole non arrivano... la musica parla» (Ludwig van Beethoven).
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