Cerca

Il caso

Claudio Durigon si è dimesso: il sottosegretario all'economia se ne va

Travolto dalle polemiche sul cambio del nome al Parco Falcone-Borsellino. Il sottosegretario ha dato le dimissioni ieri sera dopo il colloquio con Salvini

Sono le 21.05 quando le agenzie battono la notizia che era nell'aria da almeno due giorni: il sottosegretario all'economia Claudio Durigon si è dimesso. Lascia il posto nel Governo Draghi volontariamente e lo fa con una lunghissima lettera nella quale ammette di aver sbagliato nel proporre di reintitolare il Parco Falcone-Borsellino ad Arnaldo Mussolini.

Ma ci tiene a specificare che «non è un fascista», dichiarazione che pure gli era stata chiesta da più parti nelle ultime ore. Il deputato della Lega ha pagato dunque nel modo più duro una presa di posizione assunta la sera del 4 agosto ad un comizio fatto proprio a latina, la sua città, dove si va al voto, e dove i discorsi di destra, si sa, fanno breccia. Ma stavolta la sostituzione della intitolazione ai due giudici uccisi dalla mafia è stata considerata un segno che si era superato ogni limite.

Lui, Durigon, abituato alle battaglie complicate fatte da sindacalista dell'Ugl, ha resistito fino alla fine, per tre lunghe settimane. Poi ieri pomeriggio l'incontro decisivo con il capo della Lega, Matteo Salvini che deve averlo convinto a fare un passo indietro, anzi «di lato» come hanno subito precisato nell'ambiente del Carroccio.
Che le dimissioni fossero inevitabili lo si era compreso quando Pd e 5 Stelle avevano confermato che si sarebbe andati in Parlamento a votare una mozione di sfiducia, troppo anche per un partito che si sente forte come quello della Lega ma che ora è nel Governo e deve dare conto agli alleati, ancor più al Presidente del Consiglio. Il quale pur non avendo mai fatto dichiarazioni in merito ha certamente esercitato un pressing su Salvini.

Ma Claudio Durigon, ora è chiaro, è stato abbandonato soprattutto dai suoi, dai colleghi del nord che intanto non hanno speso mai parole di solidarietà e, vieppiù, negli ultimi giorni ci hanno messo il carico da novanta.
Il Ministro Giancarlo Giorgetti, il più temuto e rispettato dagli alleati-avversari nel Governo, mercoledì aveva rilasciato una dichiarazione gelida, senza più appello.
Questa: «chi ricopre incarichi di Governo deve stare attento a ciò che dice».

Si è capito in quel momento che per Durigon l'esperienza in questo Governo era terminata.
Mancava solo il faccia a faccia con Matteo Salvini, il quale a sua volta tre giorni fa al Meeting di Rimini aveva detto che avrebbe parlato con il sottosegretario e si sarebbe trovata la soluzione migliore. E la soluzione migliore, per il Governo e per la Lega, sono state appunto le dimissioni, arrivate esattamente 22 giorni dopo quella frase pronunciata a Capoportiere durante un incontro elettorale locale, però importante, anzi determinante. C'erano tutti i leader locali e c'era Salvini su quel palco a due passi dal mare. Si doveva ancora scegliere il candidato sindaco del centrodestra, appannaggio della lega per la città di Latina. Sotto al palco un pubblico che il cambio del nome al Parco comunale non lo aveva mai digerito ma era rimasta una polemica relegata alla città di Latina, nemmeno sentita in ambito provinciale.

Le parole del più importante rappresentante della Lega nel Lazio hanno catapultato i Giardinetti di Latina sul palcoscenico mediatico nazionale. Da quel momento tutti hanno chiesto la testa di Durigon, dall'Anpi, a don Luigi Ciotti, a tutti i partiti e le associazioni di sinistra ma si è fatta sentire anche la società civile e Il fatto quotidiano ha raccolto oltre 160mila firme nella petizione popolare sulle dimissioni. Oggettivamente non si poteva andare avanti. Da qualche ora Claudio Durigon è un semplice deputato della Lega e deve affrontare una campagna elettorale nel Lazio e nella sua città, sperare che questa sia la traversata nel deserto e che alla fine ci sarà un risarcimento con la sua candidatura alla Presidenza della Regione Lazio.
Però adesso c'è spazio solo per riflettere, probabilmente c'è spazio per l'amarezza di un errore oggettivo costato molto caro.

E per lo scoramento: Durigon chiede scusa alle famiglie delle vittime di mafia, «non volevo mancare di rispetto», parla di «modelli civici» a proposito dei due magistrati uccisi e, infine, rivendica la sua identità di «colono».
Volendo attribuire alla sua estrazione la volontà di mantenere alcune tradizioni storiche.

Edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione