Spazio satira
L'intervista
23.03.2020 - 11:30
L'architetto frusinate Silvia Bottoni e il marito Domenico vivono con i due figli tra Meda e Milano
Meda, quasi 24.000 abitanti, è uno dei tanti comuni della cintura milanese. Silvia Bottoni, architetto trentottenne di Frosinone, vive lì con il marito e i due figli da quasi quattro anni e Milano è la sua città elettiva di lavoro. Come tutti i residenti della Lombardia sta vivendo con una certa preoccupazione l'emergenza Covid-19 che ha colpito in particolare il nord.
Quando avete iniziato a percepire il pericolo?
«Il 24 febbraio, il primo giorno di chiusura delle scuole in Lombardia».
Come ha reagito la gente? E tu come hai reagito?
«In quei giorni, sembrava tutto molto distante e legato a casi isolati. La mia vita sociale si è subito fermata, le cene con le amiche e gli aperitivi in programma sono stati rinviati a momenti più tranquilli, ma il lavoro no. Le società di affitti brevi per cui lavoro hanno bloccato tutto da subito, tutte le prenotazioni sono state cancellate all'istante. Le ristrutturazioni, però, nelle prime settimane continuavano. L'unico sopralluogo rinviato è stato nell'area di Sesto San Giovanni, dopo il primo contagio: io e le mie maestranze abbiamo deciso di rinviare. Sono cambiate fin da subito le abitudini, non si prendeva più il caffè al bar e non ci si salutava più con una stretta di mano, perché queste erano le indicazioni. Non avevo paura, ma sapevo di dover stare attenta».
Si sta vivendo quasi in uno scenario da film, come riesci a gestire a livello emotivo questa situazione?
«Sono lontana dalla mia terra, mi sento incapsulata insieme alla mia famiglia in una realtà sempre più spaventosa e guardo dalla finestra un orizzonte che non mi è familiare. Intorno a me c'è silenzio, sento solo gli uccelli, non che mi dispiaccia, e la macchina della polizia locale che con una voce femminile comunica il divieto di uscire di casa. Muoiono e si ammalano le persone che dicono essere personaggi storici della città, come la signora che vendeva le scarpe in centro; mi dispiace molto, anche se non conoscevo queste persone.
La paura c'è, le immagini di Bergamo, molto vicina, sono molto dolorose. Sono 14 giorni che sono a casa, in teoria dovrei essere abbastanza sicura, ma è una situazione scioccante e non si è più sicuri di nulla. Rido e scherzo per assicurarmi di trasmettere la giusta dose di serenità ai miei figli, ma dentro c'è dolore per tutto ciò che sta accadendo, paura per me, la mia famiglia, i miei amici, preoccupazione per i miei in Ciociaria, in Francia, negli Stati Uniti».
I rapporti interpersonali come sono cambiati?
«I rapporti tra le persone non sono cambiati, ma sembrano più forti, qui non sono freddi come si dice».
Oggi come procede il ritmo delle giornate lì?
«È l'opposto della frenesia lombarda. Ogni giorno facevo in media 140 chilometri, alcune volte percorrevo tutta la Statale 36 per cantieri a Lecco, Monza e Milano, ma non facevo nulla di speciale, qui la vita è così, frenetica. Oggi siamo tutti a casa, si è fermato tutto. In casa trascorriamo le giornate a pianificare il lavoro, a fare i compiti, a leggere, ad ascoltare musica, a cucinare... Credo che sia così un po' in ogni casa.
Prevale il pessimismo o la speranza?
«Si alternano momenti di pessimismo a momenti di speranza. Più che altro si aspetta in silenzio, ascoltando le notizie»
Ti senti spesso con la tua famiglia a Frosinone?
«Mi sento ogni giorno con la mia famiglia e gli amici più stretti. Spero che finisca presto questo periodo, la prima cosa che farò sarà tornare a casa a Ripi a riabbracciare i miei e i miei amici, anche se ho la sensazione che questo succederà tra molto tempo».
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