Una voce universale
27.04.2025 - 13:00
«Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri». Era il 16 marzo del 2013 quando, pochi giorni dopo la sua elezione a Papa, il Santo Padre pronunciò queste semplici ed emblematiche parole, che oggi risuonano più potente che mai. Lui, il primo nella storia della Chiesa ad assumere il nome di Francesco, in onore del Santo che si spogliò di ogni bene materiale per abbracciare la fede, la carità e la santità, ha voluto perseguire l’esempio del poverello d’Assisi fino al suo ultimo viaggio terreno. Tra le strade della “sua” Roma, della quale si sentiva vescovo, ha percorso sei chilometri accompagnato dagli applausi della gente, fino a Santa Maria Maggiore, dove il feretro è stato accolto da quaranta persone che Bergoglio aveva il piacere e l’onore di chiamare “amici”. Detenuti, senza fissa dimora, donne vittime di tratta, rifugiati e ancora famiglie in difficoltà: sono stati proprio loro ad accogliere il feretro del Santo Padre nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove è avvenuta la tumulazione in forma strettamente privata.
Un messaggio universale
Quei poveri dei quali Papa Francesco parlava in quel 16 marzo del 2013, lo hanno salutato per l’ultima volta, accogliendolo in quella che sarà la nuova casa terrena del suo corpo. «Dio concede ai poveri la sua prima misericordia», spiegava ancora il Santo Padre. Parole che oggi assumono un significato, se possibile, ancor più forte. Lui, per i poveri, tra i poveri. Lui, che di un povero ha assunto il nome, facendone suo l’esempio e l’insegnamento di vita. Emblematica non solamente l’esistenza, il passaggio terreno: Papa Francesco, anche nel giorno del suo ultimo saluto, ha voluto mettere in pratica il suo credo. Per il corteo funebre che lo ha accompagnato dal Vaticano a Santa Maria Maggiore, Bergoglio ha voluto una papamobile semplice, senza sfarzo. Si tratta di un pick-up Dodge Ram, che era stato utilizzato in Messico nel viaggio pastorale del 2016 e poi regalato proprio al Pontefice nel 2017 dal Paese sudamericano. Una scelta controcorrente, che descrive bene chi era Francesco.
L’emozione della piazza
In una piazza San Pietro gremita di gente, circa 250.000 persone hanno dato il proprio personale saluto a Papa Francesco. C’è chi ha preso un aereo nei giorni scorsi per essere al Vaticano in tempo per l’addio al Pontefice, chi si trovava a Roma per il Giubileo dei Giovani, che il caso ha voluto cadesse proprio nei giorni dell’addio a Bergoglio. Persone da ogni singola parte del mondo hanno deciso di esserci e di omaggiare, a modo loro, la memoria di un Papa che passerà alla storia per la rivoluzione del proprio messaggio. In tanti sono partiti dall’Argentina, la sua terra natia. «È un giorno speciale, è bello vedere che tutta la gente apprezza quello che ha fatto. Ha aperto la Chiesa, ha fatto tanto per la pace nel mondo» racconta una sorella argentina. E ancora persone da Puerto Rico, Brasile, Filippine, Giappone, Cina e ancora Spagna, Francia, Portogallo. Ogni bandiera unita da un solo messaggio d’amore.
Oltre il dolore
Le lacrime, in piazza San Pietro, si alternano ai sorrisi. La tristezza per la perdita del Santo Padre, un uomo che ha fatto grande la Chiesa e la lavorato incessantemente per l’umanità, lascia spesso il passo alla gratitudine. «Non è un giorno triste – racconta una fedele giunta da Puerto Rico – Il cristiano non muore, resuscita. Ora il Papa sta vivendo al fianco del Signore. Questo è un giorno di giubilo». C’è anche chi però non trattiene l’emozione e si lascia andare alle lacrime, che rigano il volto mentre un rivolo di vento accompagna il feretro di Papa Francesco sul sagrato, tra gli applausi dei presenti. Modi di vivere e di affrontare il dolore in maniera diversa, in una piazza colorata di persone differenti tra loro, ma mai così simili, accumunate da un senso di grazia e gratitudine.
Umanità
C’è una parola, più delle altre, che accompagna la giornata dell’addio a Papa Francesco. Umanità. Lui, che si è speso per gli ultimi e si è battuto affinché cessassero le guerre, viene ricordato così dalla folla, ma non solo. Anche il cardinale decano Giovanni Battista Re, che ha presieduto i funerali, durante l’omelia ha ricordato gli appelli di Papa Francesco: «Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni, con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra è solo morte di persone, distruzione di case, ospedali e scuole, come diceva lui. Solo una dolorosa e tragica sconfitta. Costruire ponti e non muri: è questa l’esortazione che ha più volte ripetuto». Parole, quelle del cardinale decano Giovanni Battista Re, che suonano quanto mai emblematiche di fronte ai potenti della terra, Trump e Zelensky su tutti. E allora, che il messaggio di Papa Francesco, ricordato durante l’omelia dall’officiante e dai fedeli accorsi a Roma per l’ultimo saluto, risuoni più forte che mai e lasci un segno netto e indelebile. Affinché i suoi appelli incessanti e continui non siano stati vani.
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