Spazio satira
L'incontro
20.03.2025 - 11:53
Una lite per una scenata di gelosia, quella pizza con le amiche quando è stata costretta ad inventare una scusa. Oppure quella gita scolastica persa perché il fidanzato non le aveva dato il permesso. Sono solo alcuni dei campanelli d’allarme che una ragazza non dovrebbe mai sottovalutare in una società in cui episodi violenti spesso si trasformano in tragedie. Per questi motivi Mariastella Giorlandino, presidente della Fondazione Artemisia, insieme a Maria Grazia Cucinotta, presidente dell’associazione Vite Senza Paura onlus, hanno voluto organizzare ieri mattina, in occasione della festa del papà, un incontro nella sala Giulio Cesare dell’Università “Guglielmo Marconi” a Roma.
L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul vero significato del ruolo del papà e, più in generale, del ruolo della figura maschile nella società attuale. E per quanto riguarda il rispetto e l’educazione all’affettività Mariastella Giorlandino sta lavorando, con il ministro all’istruzione Giuseppe Valditara, per mettere a punto quelli che saranno i futuri programmi all’interno delle scuole. «Dobbiamo intervenire velocemente perché tutto quello che è stato fatto oggi non ha contribuito in cambiamenti reali – ha detto Mariastella Giorlandino – Anzi, il più delle volte vediamo che la situazione sta peggiorando, quindi è necessario intervenire e trovare soluzioni. A cominciare dai ragazzi che hanno questa sensazione di vivere il senso del possesso. E qui parliamo sia per il maschile, sia per il femminile. Purtroppo l’affettività non è più curata. Dobbiamo comunicare alle famiglie, alle scuole, che questi ragazzi devono avere la sicurezza con se stessi. Perché se crescono con radici profonde e forti non potrà mai succedere che nella loro vita giunga qualcuno a creare problemi e a volte arrivare alla degenerazione che è quella della violenza in genere». Proprio su questo la fondazione Artemisia lavora da più di vent’anni. La Giorlandino ha voluto al suo fianco anche il figlio Fabio Massimo. Su di lui racconta di aver trasmesso i principi dell’amore «perché quando si cresce con delle sensazioni di benessere affettive sicuramente si può vivere molto meglio. È quello che vogliamo fare per il futuro: una vita migliore per le nuove generazioni».
Maria Grazia Cucinotta si è poi soffermata sul concetto di libertà, troppo spesso privata non solo dagli uomini ma soprattutto dalla società. «Noi donne non possiamo uscire perché siamo delle prede e non siamo libere di vestirci come vogliamo. Purtroppo non possiamo parlare di libertà, perché la nostra è limitata in una società dove si parla tanto di intelligenza artificiale quando poi non siamo libere e soprattutto viviamo in una società violenta». Sul palco anche l’attrice Simona Izzo, la cantautrice Silvia Salemi, il magistrato Fernanda Fraioli, Giovanni Carnovale, del Consiglio Omceo Roma e collaboratore Aifa, e la dottoressa Francesca Malatacca.
Poi il segretario dell’Ugl Ermenegildo Rossi ha presentato i dati dei rapporti lavorativi tra uomini e donne: il 57% dei laureati e il 55,4% degli iscritti a un percorso universitario nell’ultimo anno è donna. Il 53% si laurea in corso, contro il 48,2% degli uomini. Mentre il voto medio di laurea è 103,7 per le donne e 101,9 per gli uomini. Le donne sono in maggioranza anche negli studi post laurea. Dati che purtroppo non bastano per avere una posizione di parità sul mercato del lavoro. Le donne che lavorano sono meno degli uomini e difficilmente ricoprono incarichi di responsabilità. Ed è soprattutto sul piano della partecipazione femminile al mercato del lavoro che si dispiega il gender gap rispetto ai maschi e la distanza dagli altri paesi.
Toccante, infine, la testimonianza di Daniela Bertoneri, mamma della diciassettenne Michelle Causo uccisa brutalmente da un suo coetaneo due anni fa abbandonando poi in strada il cadavere in un carrello della spesa. «Un ragazzo di diciassette anni ha deciso di togliere la vita a mia figlia per pochi soldi – ha raccontato Daniela – Le avvisaglie c’erano, era un minore che non frequentava la scuola, non lavorava e aveva precedenti penali. Ma nessuno ha fatto niente. C’è stata una sentenza e ha preso venti anni, il massimo della pena per un minore. Ma Michelle non c’è più e io sono morta insieme a lei».
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