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La ricorrenza

L'eredità di un genio incompreso: l'anniversario

Duecento anni fa nasceva Gregor Johann Mendel. Con i suoi studi gettò le basi della moderna genetica per le sue osservazioni sui caratteri ereditari

Tra le ricorrenze che meritano di essere adeguatamente celebrate nel corso di quest'anno, c'è senza alcun dubbio quella del duecentesimo anniversario della nascita di uno degli scienziati più importanti ed influenti di ogni tempo, Gregor Johann Mendel, il biologo e matematico ceco che, grazie ai suoi celebri studi sull'ereditarietà, è infatti universalmente riconosciuto come uno dei padri della moderna genetica.

La sua vita, e la sua instancabile opera di ricerca (che venne compiuta prevalentemente nell'abbazia di Brunn), costituiscono il perfetto paradigma del destino del genio incompreso, che combatte da solo la sua personalissima battaglia alla ricerca della conoscenza; ed infatti, nonostante le sue brillanti intuizioni rappresentarono una vera e propria rivoluzione a livello metodologico e scientifico, il grande monaco agostiniano purtroppo non ebbe mai, durante l'intero corso della sua esistenza, le soddisfazioni ed i riconoscimenti che i suoi studi avrebbero invece meritato. Solo molto tempo dopo la sua scomparsa – avvenuta nel 1884 – altri scienziati giunsero infatti alle sue stesse conclusioni ed egli venne finalmente (e giustamente) consegnato alla storia.

Tanto è vero che il genetista Vitezlav Orel una volta ebbe a dire: «Gli esperimenti di Gregor Mendel sull'ibridazione delle piante, e la teoria che creò per spiegare i loro risultati, rimodellarono l'atteggiamento del mondo scientifico, non solo nei confronti dell'ereditarietà, ma di quasi tutti i fenomeni del mondo vivente». Una solida preparazione teorica aiutò Mendel a creare e ad applicare il suo metodo, che era teso a spiegare le dinamiche dei fenomeni naturali, e soprattutto allo studio della botanica. Esso era fondato sul rigoroso rispetto dei principi della matematica e della fisica, e ciò in ossequio a quello che aveva sentito dire dal filologo austriaco Franz Unger, che lo aveva ispirato in gioventù: «Una pianta è un laboratorio chimico artificiale, la più ingegnosa sistemazione per il lavoro delle forze fisiche».

Scrive a tal proposito Alfonso Lucifredi, in un suo interessantissimo saggio sul grande scienziato: «Un metodo rigoroso e matematicamente ineccepibile, la scelta della specie adatta e dei suoi caratteri più facilmente osservabili, un'analisi lucida e geniale, resero le ricerche di Mendel sulle piante di pisello un successo ineguagliato negli studi sull'ereditarietà… gli studi sui piselli, iniziati nella primavera del 1856 si servirono di un numero impressionante di piante: si stima che il monaco ne coltivò circa trentamila nel corso delle sue ricerche. Nondimeno, osservò e descrisse qualcosa come trecentomila semi prodotti da queste piante. La pazienza, la precisione, la rigorosità del metodo furono uno dei punti di forza dei suoi studi».

Mendel «arrivò ad un passo dal teorizzare l'esistenza dei geni… se ci fossero stati altri scienziati a dargli man forte, probabilmente, il concetto di gene sarebbe nato con ampio anticipo…». Sebbene Mendel non arrivò quindi a teorizzare l'esistenza di un "fattore nascosto" che fosse in grado di determinare l'aspetto esterno di un organismo, tuttavia ideò i termini concettuali "dominante" e "recessivo", che di fatto sono i pilastri sui quali poi si fondano le famose «tre leggi di Mendel, le quali stabiliscono gli elementi fondamentali della trasmissione dei caratteri ereditari, di generazione in generazione, e nell'arco di più generazioni».

Proprio per questo motivo i genetisti Curt Stern ed Eva Sherwood evidenziarono che «il breve trattato di Gregor Mendel, intitolato "Esperimenti sull'ibridazione delle piante", è uno dei trionfi della mente umana. Non annuncia semplicemente la scoperta di importanti fatti con nuovi metodi di osservazione e sperimentazione. Piuttosto, in un atto di creatività del massimo livello, presenta questi fatti in uno schema concettuale che li rende di valore assoluto». Sovente la figura di Gregor Mendel viene affiancata a quella del grande scienziato inglese Charles Darwin, autore della celebre teoria evoluzionistica. I due, a dire il vero, non ebbero alcun contatto diretto, ed anzi avevano idee scientifiche piuttosto distanti.

Osserva a tal proposito Lucifredi: «Il principale pomo della discordia era in che modo operasse il processo evolutivo: per Darwin era un processo lento, lineare, che portava le specie viventi ad un adattamento sempre migliore al loro ambiente naturale. Le specie mutavano costantemente tramite "piccoli, impercettibili passi". Mendel, dal canto suo, vedeva i cambiamenti degli organismi nel passaggio da una generazione all'altra come un processo chiuso, che implicava dei limiti evidenti: pisello verde o giallo, baccello gonfio o rugoso. L'evoluzione, secondo Darwin, era aperta a qualunque tipo di risultato; secondo Mendel, invece, applicando una visione tipica degli orticoltori dell'epoca, non lo era affatto… la convinzione iniziale di Darwin secondo cui i caratteri si fondessero insieme per Mendel era sbagliata: i caratteri, per il monaco, rimanevano perfettamente separati e venivano trasmessi alle generazioni successive indipendentemente gli uni dagli altri… nell'eredità di tipo mendeliano un carattere raro ma vantaggioso per la specie poteva diventare ben più frequente nel giro di poche generazioni, fino ad arrivare ad essere presente in tutti gli individui…».

Tale confronto scientifico, indipendentemente dalle rispettive ragioni (e dagli inevitabili errori), determinò comunque un acceso e proficuo dibattito scientifico, che diede poi impulso ad approfonditi studi in vari ambiti. E contribuì, come detto, alla nascita della moderna genetica. Del resto, come giustamente evidenziato dal saggista Arthur Koestler, «la qualità principale del genio non è la perfezione, ma l'originalità, l'apertura di nuovi confini». Nella parte finale della sua vita Mendel soffrì parecchio per il mancato riconoscimento pubblico delle sue intuizioni e scoperte.

Tanto è vero che, in una delle sue ultime lettere, palesando una profonda amarezza di fondo, scrisse: «Il mio lavoro scientifico mi ha offerto una grande soddisfazione, e sono convinto che non passerà molto tempo che il mondo intero lo riconoscerà». Egli, probabilmente, si sentiva uno studioso "fuori dal suo tempo". Proprio per questo motivo la giornalista scientifica Robin Marantz Henig una volta affermò che «Mendel era uno scienziato del XX secolo, intrappolato nel XIX».

Quello che conta, tuttavia, è che grazie a lui sono stati portati avanti studi che hanno creato metodi di ricerca rivoluzionari e che hanno posto le basi della moderna genetica, consentendo (tra l'altro) di prevenire malattie e garantire ricchi raccolti; in poche parole il suo certosino lavoro ha aiutato a migliorare sensibilmente le condizioni di vita dell'intera umanità.

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