Il romanzo
22.07.2022 - 22:00
Il genere letterario "giallo" o "poliziesco" riscuote sempre un particolare apprezzamento da parte del pubblico. Tale suo consolidato successo è dovuto ad una serie di fattori: in primo luogo alla tensione narrativa che di solito caratterizza quella categoria di romanzi, ma non bisogna nemmeno dimenticare il fatto che la "cronaca nera", con le sue implicazioni spesso morbose o inquietanti, anche se è solo il frutto della fantasia di uno scrittore, è un argomento che attira sempre l'interesse di molte persone.
Trattasi, in ogni caso, di una tipologia narrativa assai difficile ed insidiosa per qualsiasi autore; perché per dare corpo ad un buon libro e per avvincere e riuscire ad incollare il lettore alla poltrona, non basta soltanto l'idea di un delitto (magari particolarmente truculento…), ma bisogna anche saper calibrare bene la storia, definire in maniera adeguata i personaggi che la animano anche da un punto di vista psicologico e prestare certosina attenzione ai dettagli (i quali poi – spesso e volentieri – costituiscono la "chiave" per la soluzione del caso). Hanno voluto imbarcarsi in questa difficile e impegnativa impresa anche Giuseppe Andreozzi ed Antonio Corvaia, i quali, durante il periodo più fosco della pandemia di Coronavirus, decisero di provare ad "esorcizzare" la peculiare difficoltà di quel momento, iniziando a buttare giù i primi abbozzi di una storia che è poi sfociata in "Quella palazzina liberty in via Sabazio a Roma" (347 pagine), romanzo da poco dato alle stampe e che verrà presentato per la prima volta al pubblico il prossimo 27 luglio, in occasione dell'ultimo appuntamento stagionale della rassegna letteraria "Frosinone Legge".
La vicenda narrata nel libro ruota attorno all'omicidio di una donna, avvenuto in un piccolo condominio di un'elegante strada della capitale. L'efferato crimine lascerà emergere torbidi segreti e spinose verità, che finiranno per coinvolgere – e sconvolgere – l'esistenza di molte persone («…Nella palazzina di via Sabazio vivevano quattro famiglie. Lì si erano incrociate quattro storie, in tutte c'era tanto odio, violenza e dolore…»). La vicenda viene descritta dagli autori attraverso diversi piani narrativi, alternando abilmente i dialoghi e le descrizioni a trascrizioni di intercettazioni, articoli di giornale, atti giudiziari, relazioni di servizio e lettere. Gli autori, pagina dopo pagina, danno corpo ad una trama intricatissima, seminando indizi, lasciando intravedere nuovi fronti di indagine e rivelando le storie (quasi sempre inquietanti) che si celano dietro le vite della stragrande maggioranza dei protagonisti della torbida vicenda.
Mano a mano che si procede nella lettura dei brevi capitoli di cui è composto il romanzo, e che i vari personaggi entrano in scena, si fa strada la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una sorta di "inferno dantesco urbano", dal quale emerge la parte peggiore della varia umanità che lo abita. Perversioni, tradimenti, risentimenti, avidità, relazioni incestuose, vendette, depistaggi e ricatti svelano insomma il "mondo oscuro" che si nasconde dietro una solo apparente normalità; "normalità" che viene in qualche modo fatta emergere dalle indagini che vengono portate avanti dalla polizia e dalla magistratura, e che, una volta messa a nudo, mostra invece tutte le sue miserie. L'omicidio che apre il racconto, in altre parole, si rivela una sorta di "Vaso di Pandora", che produrrà i suoi malefici effetti ben oltre le mura della palazzina di via Sabazio.
Il continuo susseguirsi di eventi descritto nel libro, ed il groviglio quasi inestricabile di rapporti che lo anima, turba ed agita le coscienze di tutti coloro i quali si ritrovano ad avere un qualche ruolo nell'ambigua vicenda («…gran brutta cosa il senso di colpa, quel dolore che non ti lascia mai e di cui sei vittima e carnefice…»); induce ad analisi emotive («…e poi come succede spesso dopo aver nuotato una volta nel fango, la seconda volta ti sembra meno sporco, la terza e la quarta quasi più nulla… la coscienza, che molti chiamano in modo diverso, è quel nemico-amico che ti porti dentro e ti dice quello che non va.
Ci appartiene così tanto che spesso ci arroghiamo il diritto di non starla a sentire, ignorarla come si fa con i consigli di chi ti vuole bene…»); invita a compiere bilanci («Tutti prima o poi fanno il resoconto della propria esistenza, a volte all'alba quando non riesci a dormire, o in un letto di ospedale, o quando una figlia infelice ti costringe a farlo, magari mentre guidi sul raccordo anulare…»); sorprende («…è duro scoprire l'odio peggiore dove non te lo aspetti… e allora successe, e fu per lei come una inversione ad "u" sull'autostrada, in pieno agosto, come un pugno che ti arriva in pieno viso, e non sai da chi…»); e costringe anche a dolorose ammissioni («…accade spesso che la verità appartiene a chi non può più rivelarla… non sempre essere da soli a conoscere la verità è vantaggioso…»).
Dalla storia narrata emerge insomma un quadro urbano che induce a riflettere profondamente sulla natura umana e sulla vita, che spesso regala purtroppo amare sorprese e dolorose ferite. Eppure, come gli stessi autori ammettono verso la fine del romanzo, «siamo quello che viviamo, le esperienze che affrontiamo e che ci fanno crescere, a volte malamente… se solo la vita fosse perfetta, se i vari pezzi di quel puzzle che la compongono fossero stampati ad arte… guai se così fosse. Se tutto fosse scontato, prevedibile, giusto e ragionevole, che vita sarebbe!…». Giusto. Giustissimo. Ma debbo essere sincero: per provare ad evitare brutte sorprese, forse è meglio non andare mai ad abitare in una palazzina liberty in via Sabazio a Roma…
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