Spazio satira
Colpi di Testa
16.04.2021 - 23:00
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La recente contemporaneità ha inevitabilmente inciso in maniera profonda sulla qualità della nostra vita.
Ha cambiato molte abitudini, ha sconvolto milioni di esistenze, ha inciso sul tessuto economico mondiale, ha intaccato convinzioni e certezze. Eppure fino a non molto tempo fa, guardando al futuro, ciascuno di noi lo immaginava decisamente più roseo. Per non parlare dei nostri avi, i quali ritenevano che il ventunesimo secolo avrebbe visto il decisivo trionfo dell'ingegno umano, la fine della povertà e delle disuguaglianze, e la sconfitta di molte gravi malattie. Invece le cose sono andate in modo diverso. Il famoso giurista Sabino Cassese, in un breve ma interessante saggio intitolato "Una volta il futuro era migliore" (111 pagine), da poco pubblicato per la casa editrice "Solferino", ha deciso di analizzare l'evoluzione politica, sociale, economica, scientifica e culturale avvenuta nel nostro paese negli ultimi cento anni, e ciò al fine di verificare se possiamo ancora guardare al domani con rinnovata fiducia; o, invece, dobbiamo avvicinarci al futuro solo con sconsolato avvilimento.
Cassese, partendo dalla considerazione che la nostra vita quotidiana è ben diversa da quella dei nostri padri o nonni, si è preso la briga di scandagliare a fondo l'attualità che ci circonda, rilevando ed evidenziando in primo luogo l'esistenza di contraddizioni profonde, che in molti casi sorprendono. L'autore si pone sin dalle prime pagine del suo pamphlet impegnative domande, e precisamente: «Come dobbiamo valutare questo nostro tempo? Come deve valutarlo, in particolare, chi ha davanti a sé da cinquanta a settant'anni di vita? Deve rallegrarsi di vivere in un Paese pacifico e libero, dove lo Stato si dà carico del benessere dei cittadini e li assicura nei confronti di molti rischi, dove tutti possono fruire dei benefici del progresso tecnologico, che fa parte della ristretta schiera delle nazioni sviluppate? O deve invece preoccuparsi per il divario crescente nei confronti di altre nazioni europee, per lo stato lamentevole di molte città, per le difficoltà di trovare un'occupazione, per il carico di debiti che mette sulle spalle delle generazioni future, per l'incapacità del paese di affrontare una pandemia prevista ed annunciata?».
Fornire risposte a tali quesiti non è facile.
Perché, come detto, il futuro ha spesso ingannato il presente, e sovente ha clamorosamente sconfessato il passato. Il giurista di origini campane inizia la sua analisi partendo dalle "luci"che illuminano la nostra contemporaneità. E ad esempio evidenzia che mentre in tempi non troppo lontani la "violenza armata"era responsabile di ben il 15% dei decessi, oggi, tale percentuale, è solo dell'1%; che la storia del mondo sembra essersi direzionata verso una progressiva scomparsa delle guerre (le quali erano molto più frequenti, in passato); che molte malattie mortali sono state debellate, e che i progressi della medicina hanno reso curabili decine di gravi patologie. Tuttavia le "ombre" che caratterizzano la nostra contemporaneità, e che rendono piuttosto incerto il nostro futuro, non sono affatto diminuite. Soprattutto se guardiamo nel nostro "piccolo orticello". Cassese rammenta infatti che se è vero che «nel 1896 il reddito della Gran Bretagna era due volte e mezzo quello italiano, e nel 1995 il reddito italiano era maggiore del 10% di quello inglese», ultimamente, le cose, sono notevolmente peggiorate, e la nostra economia è tornata al livello del 1950: «Da un quarto di secolo l'Italia cammina, mentre gli altri paesi corrono. Su questo organismo debilitato si innesta ora la crisi economica prodotta dalla necessità di difenderci dalla pandemia e tutelare la salute».
Egli evidenzia giustamente, citando autorevoli opinioni ed importanti studi statistici, che «lo strumento più importante del "people's empowerment" è l'istruzione...un fattore fondamentale di sviluppo della persona e della società. Attraverso l'istruzione – per dirla parafrasando l'articolo 3, secondo comma della Costituzione – si rimuovono gli ostacoli che limitano di fatto l'eguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona e l'effettiva partecipazione all'organizzazione sociale...il tasso di abbandono degli studi è di quattro punti percentuali più alto di quello registrato in Francia e in Germania...l'arretratezza culturale è stata – ed è –un fattore di freno allo sviluppo economico e civile. È noto che studiare conviene ai singoli individui, sia per la più alta probabilità di occupazione, sia per il vantaggio retributivo che un titolo di studio elevato garantisce...
i benefici dello studio non si limitano alla sfera economica... le persone istruite hanno una speranza di vita più elevata, conducono una vita più sana, sono cittadini più consapevoli e attivi, sono più aperti nel confronti degli altri...difficilmente un Paese che abbia un livello di istruzione modesto può oggi prosperare economicamente, contando sul "genius loci", come successe all'Italia nel secondo dopoguerra: tecnologia e globalizzazione richiedono sempre più la capacità di padroneggiare un corpo codificato di conoscenze e competenze, che consenta di applicare i risultati della ricerca, dell'innovazione e delle tecniche più avanzate».
Tale sconfortante situazione generale ha effetti devastanti, anche e soprattutto perché il basso livello generale di istruzione della società italiana si riflette purtroppo sullo Stato e sulla sua classe dirigente. Il primo risulta spesso inadeguato a soddisfare le esigenze crescenti della popolazione, e la seconda, essendo sempre più "ignorante", appare impreparata ad affrontare le grandi sfide del futuro. Cassese conclude il suo saggio con una considerazione agrodolce. E cioè che una volta si stava peggio, ma in compenso il futuro appariva molto migliore di quello che invece sembra pararsi avanti a noi. Per cambiare questa prospettiva occorre sforzarsi per (ri)progettarlo, bisogna creare le basi di un nuovo Rinascimento, di nuove "infrastrutture intellettuali", che consentano al maggior numero di persone di essere artefici e protagoniste del proprio domani. Non è cosa facile, ma è l'unica cosa da fare. Perché – prendendo a prestito una splendida frase del geniale inventore americano Charles Franklin Kettering –«tutti dovremmo preoccuparci del futuro, in quanto è là che dobbiamo passare il resto della nostra vita».
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