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Colpi di Testa

“Ovidio – Storie di Metamorfosi”: alla scoperta di un capolavoro senza tempo

Piero Boitani ci guida alla riscoperta del poema epico-mitologico. Un viaggio straordinario in un'opera che nei secoli ha influenzato i grandi dell'arte e della letteratura

C'è un solo libro antico che rivaleggi con l'Odissea quanto a fascino e potenza narrativa: Le Metamorfosi di Ovidio. È un libro concepito per sfidare il tempo e vincerlo, perché s'apre con l'inizio del mondo e si chiude con la metamorfosi finale – la glorificazione – del suo autore al di là della sua vita e della sua epoca. Chi adora l'Odissea non può non amare Le Metamorfosi, che ne sono quasi l'opposto: quanto quella è ordinata, eppure sempre sorprendente, sequenza dall'inizio alla fine, con dei flashback che la rendono ancora più avvincente, tanto queste sembrano una congerie caotica e anarchica nella quale il lettore si smarrisce sbigottito, senza capire più nulla, e poi spalanca gli occhi stupito quando comincia a vedere i nessi, le corrispondenze, i contrasti.

Così si legge nel prologo del breve saggio di Piero Boitani, intitolato "Ovidio – Storie di Metamorfosi", da poco pubblicato per la casa editrice bolognese "Il Mulino"(159 pagine), che invita appassionatamente a leggere (o a rileggere) uno dei più importanti poemi dell'intera letteratura antica, che ancora oggi è un vero e proprio punto di riferimento di scrittori e poeti di ogni tempo e provenienza. "Le Metamorfosi" hanno infatti influenzato mostri sacri della letteratura mondiale di ogni tempo; quali, ad esempio, Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, William Shakespeare, James Joyce, Thomas Eliot ed Italo Calvino, solo per citarne alcuni. Ma anche le opere di Antonio Canova, Gian Lorenzo Bernini, Peter Bruegel il vecchio, Caravaggio, Diego Velasquez. Il poema di Ovidio costituisce una sorta di vera e propria "enciclopedia della mitologia classica"in quanto, nel corpo degli oltre undicimila versi che la compongono, sono raccolti, e meravigliosamente rielaborati, circa duecentocinquanta miti greci.

Esso è basato su una narrazione che copre un arco temporale che inizia con il "Caos" (e cioè lo stato primordiale del mondo da cui emersero gli dei) e che culmina con la morte di Giulio Cesare. L'opera descrive innumerevoli forme di trasformazione (da qui, per l'appunto, l'evocativo titolo di "Metamorfosi"), e lo fa stregando, ammaliando ed avvincendo inesorabilmente il lettore con descrizioni vivide ed una prosa raffinatissima. Il capolavoro ovidiano racconta in maniera mirabile, attraverso storie mitologiche traboccanti di energia narrativa, un universo poetico che ha pochi paragoni nella storia della letteratura mondiale di ogni tempo. Eccone un fulgido esempio: «…e come la duttile cera si plasma in nuove figure, e non rimane com'era, né mantiene la stessa forma, ma pur sempre è la stessa, così ti dico che l'anima rimane sempre la stessa, ma trasmigra in varie figure…».

Boitani argutamente rileva che il grande poeta, nativo di Sulmona, «usa tutti gli strumenti a sua disposizione, combinando, disponendo e sviluppando le sue fonti in maniera del tutto originale»; l'autore del saggio, poi, offre al lettore anche una dotta analisi critica dell'esegesi che i commentatori medievali fecero dell'opera: essi «hanno tentato di armonizzare la poesia leggera, veloce, erotica e brillante di Ovidio con la loro cultura pesante, lenta, puritana. Hanno cercato di riconciliare il divenire predicato dal poeta romano con l'essere nel quale fermamente credevano». E questo forse perché "Le Metamorfosi" non contengono soltanto versi di insolita levità e bellezza, ma descrivono anche (e spesso) atti immondi e nefandezze, come ratti di donne, stupri, ed episodi di cannibalismo.

Boitani infatti ricorda che «contengono alcune storie, e alcune scene, di violenza inaudita, come se Ovidio volesse riconoscere, al fondo del divenire che inizia con l'Età del ferro, la rabbia, la perfidia e la crudeltà – in altre parole il Male – che fanno parte del tessuto stesso del Cosmo…accanto alla violenza, però, c'è anche l'amore, la passione dell'eros». Sullo sfondo, comunque, c'è sempre la condizione umana, quasi sempre condizionata dalla durezza del vivere, segnata dal dolore, ma anche caratterizzata, nella narrazione poetica ovidiana, da bellissime conclusioni consolatorie.
Questa raffinata architettura narrativa trova una sua speciale esaltazione in una serie di incastri che descrivono una storia che viene «raccontata all'interno di un'altra storia, che a sua volta si svolge dentro un altro racconto».

Tale sublime gioco poetico ha consegnato il grande poeta romano alla storia della letteratura. Ed è lui stesso, a dire il vero, a rendersi conto della grandezza del suo geniale capolavoro. Tanto è vero che alla fine – non senza un pizzico di immodestia, ma con la cosciente consapevolezza di aver lasciato ai posteri un poema immortale – così conclude il suo meraviglioso poema: «Ho ormai compiuto un'opera che non potranno cancellare né l'ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo divoratore. Quando vorrà, quel giorno che ha potere solo su questo corpo, ponga pure fine alla durata – che io ignoro – della mia vita: la parte migliore di me mi trasporterà più in alto delle stelle, e il mio nome resterà: indelebile. E dovunque si estende la potenza romana sulle terre domate, sarò letto dalla gente, e per tutti i secoli, grazie alla fama, se c'è qualcosa di vero nelle profezie dei poeti, vivrò». Così è stato. Così è.

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