Spazio satira
25.09.2017 - 13:00
Quale oggetto non manca all'appello dei "nuovi" giovani? Cosa fa "impazzire" se anche solo per una frazione di secondo si pensa di averlo perso, lasciato a casa? Cosa tiene svegli anche nel cuore della notte? Domande, forse, a cui saprebbero rispondere in un batter d'occhio anche i bambini: lo smartphone. E questo strumento, che entra nelle scuole, spento o in modalità silenziosa, nelle tasche dei giubbotti o negli zaini, tenuto spesso sotto il banco e sbirciato di tanto in tanto, ora potrebbe avere il "lasciapassare" per arrivare sui banchi. Sì, ma non per farne un uso personale, lasciato alla libertà dei ragazzi, ma regolato, per un utilizzo collettivo reso utile all'attività didattica. È quanto il ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli, vorrebbe estendere - a poco a poco - in tutto lo Stivale. Per il ministro si tratta di uno strumento che «facilita l'apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata...», mentre una commissione ministeriale è al lavoro per definire le linee guida dell'utilizzo dello smartphone nella didattica. Nel 2007 l'allora ministro Giuseppe Fioroni, bandiva l'utilizzo dello smartphone durante le ore di lezione, dopo dieci anni potrebbe essere messa fine la parola "divieto". Anche gli istituti della provincia di Frosinone, attendono le eventuali linee guida per far "en trare" lo smartphone in classe.
Tra i dirigenti scolastici abbiamo raccolto le considerazioni dei presidi Concetta Senese del liceo scientifico e linguistico di Ceccano e reggente del Filetico di Ferentino, Annamaria Greco dell'istituto Pertini di Alatri e Salvatore Cuccurullo del liceo Sulpicio di Veroli.
"Lo smartphone in classe va utilizzato. È un grande potenziale in possesso dei ragazzi e proprio la scuola deve educarli all'utilizzo come strumento didattico". La dirigente Senese sottolinea che all'interno delle scuole da lei dirette, vige un regolamento sull'uso dello smartphone sempre per fini didattici.
"Io lo faccio utilizzare, il docente deve autorizzare lo studente che però è tenuto a seguire le regole, perché un eventuale uso non corretto viene sanzionato. La cosa più importante è che gli accessi allo smartphone avvengano attraverso la rete della scuola. Bisogna insegnare però a farne un uso intelligente, e bisogna farlo a scuola. Il limite, però, è nell'infrastruttura, poche ancora le scuole in Italia con una banda di connessione che riesca a supportarne l'uso».
«Sono favorevole allo smartphone in classe, soprattutto perché fa parte del mondo dei ragazzi, è nel loro Dna, di fatto ha una valenza didattica perché il digitale fa parte oramai dell'economia e del lavoro».
Le parole del professore Cuccurullo, il quale evidenzia, però, l'importanza di un uso regolamentato.
«L'utilizzo per esempio delle google drive rappresentano una risorsa per lo studio, tanto per gli studenti che per i docenti. Ad esempio nella nostra scuola, il docente di matematica e fisica, Marco De Gasperis, usa la chat di WhatsApp per aiutare i ragazzi che nel pomeriggio non riescono a fare i compiti. Il docente, attraverso Google apps può postare documenti utili per lo studio, e anche i docenti possono scambiarsi materiale didattico. Quindi sono assolutamente favorevole».
La professoressa Greco ritiene che il problema fondamentale non è il fatto di essere favorevoli o meno allo smartphone in classe, ma l'utilizzo. «La domanda da porsi è: cosa ne faccio una volta che ho deciso che tablet, smartphone, computer e altri strumenti digitali, possano accompagnare tutti i giorni lo studente in classe? È importante fare una pianificazione didattica che tenga conto di due cose: gli studenti sono cambiati e i ragazzi che arrivano nelle scuole fanno parte di una generazione di nativi digitali, di cui non possiamo non tenere conto. E ancora, la maggior parte dei docenti è migrante digitale. Quindi due categorie antropologiche diverse che devono trovare necessariamente una sintesi. E quale può essere? Il percorso didattico, la programmazione didattica che metta da parte il ludico».
La dirigente sottolinea che la tecnologia non si ferma e non possiamo non tenerne conto. E a quanti sostengono che l'iniziativa è rischiosa, la professoressa Greco ribadisce che «non si corre il rischio se viviamo la tecnologia non come sostitutiva, ma integrativa dell'attività dell'uomo e, quindi, del processo». Parola, ora, alla commissione.
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