Spazio satira
Atletica Leggera
07.06.2020 - 17:00
Quel "17,60" (+1,9 m/s) stampato sulla sabbia di Milano alla Notturna, è lì che resiste da vent'anni. La migliore prestazione italiana di sempre nel salto triplo è di Fabrizio Donato. Che oggi ricorda ancora con emozione quell'impresa nonostante siano arrivati per lui successi importantissimi e medaglie, tra le quali lo splendido bronzo alle Olimpiadi di Londra 2012.
Nato e cresciuto, anche sportivamente, a Frosinone, Fabrizio è diventato poi un giramondo. Latina, il gruppo sportivo delle Fiamme Gialle a Castelporziano, i tornei e i meeting in ogni parte del globo. Lui si sente ancora un ragazzino: sognava Tokio quest'anno. Non ci rinuncerà al sogno, neanche l'anno prossimo. Ieri Milano, domani le Olimpiadi in Giappone: «Fu un bivio, mi vengono sempre i brividi. Tokyo a 45 anni? Sì, ci proverò». Ma restiamo all'oggi, all'oggi di vent'anni fa: 7 giugno 2000. Ecco i suoi ricordi affidati in una lunga intervista al portale della Federazione Italiana di Atletica Leggera.
«Ogni volta che ripenso a quella serata mi vengono i brividi sulla pelle, è una sensazione che non sparirà mai... Al di là delle medaglie, sicuramente è stata la gara più bella della mia vita perché mi ha proiettato nell'atletica dei grandi. Sono andato a controllare qualche tempo fa: a fine stagione quel 17,60 era ancora la seconda migliore misura al mondo. Io e Paolo Camossi (17,45), due tipi molto competitivi da sempre, in pochi minuti abbiamo riscritto la storia del triplo italiano, tra l'altro in un tempio della nostra atletica come l'Arena di Milano e battendo il tedesco campione del mondo Charles Friedek. Non avevo mai vinto nulla a livello giovanile e quella stagione, il 2000, fu un bivio importante dal lato tecnico e personale. La svolta fu cambiare il modo in cui usavo le braccia: da alternate a sincrone. Ci lavorammo tutto l'inverno con Roberto Pericoli, ispirati anche dal salto elegante di Jonathan Edwards, e già alla fine di maggio riuscii a superare i diciassette metri per la prima volta».
Dopo vent'anni - dice - la determinazione è la stessa, quella che ti porta ad «emergere e di farlo a sorpresa, restando sempre un po' nascosto, lavorando in silenzio. Prima, senza i social, era più semplice stare dietro le quinte, ora meno. Cambierei poco del Fabrizio di allora. Certo, per un ventenne un anno vale un anno, per un quarantenne ogni stagione sono 5, 6, 7 anni. Ma dove la natura mi sta togliendo, c'è l'esperienza che mi dona qualcosa in più. Chiamiamola saggezza. Ma è padronanza del corpo, coscienza delle capacità tecniche».
A 44 anni le Olimpiadi si allontano di altri dodici mesi, se andrà bene... Sarà ancora possibile?
«Mi sono sempre detto che voglio smettere senza rimpianti. Quale occasione migliore della stagione olimpica? Continuo ad avere questo stimolo... Continuo a divertirmi, mi piace quello che faccio, la mia vita è piena di adrenalina. Sì, voglio provarci».
Quest'anno però niente gare... «No, saltare in gara quest'anno significherebbe intaccare qualcosa di già abbastanza compromesso. Se ho una cartuccia, voglio giocarmela l'anno prossimo, certo con l'incognita di un anno in più: a Tokyo sarei alle porte dei 45... In questo periodo ho cercato di mantenere tutti i distretti muscolari integri e la mia idea è tornare a sentirmi un atleta normale, trovare un bell'equilibrio e una condizione decente per ripartire verso fino agosto con la mia 26esima preparazione autunnale-invernale».
Aveva 24 anni ancora da compiere, nei due decenni successivi avrebbe conquistato un bronzo olimpico a Londra, un titolo europeo all'aperto e uno al coperto e altri due argenti agli Euroindoor (tra cui Parigi 2011 con il 17,73 del record italiano in sala). Adesso il ragazzo di anni ne ha 44, cinque Olimpiadi, una vita nelle Fiamme Gialle - ma è ancora in pedana, in attesa di un gran finale, magari a cinque cerchi.
E poi, magari, finire la carriera da allenatore... «Ancora non so rispondere. So che sono pronto ad affrontare la mia vita... da grande. Mi piacerebbe provare a trasmettere il mio percorso, la mia avventura. Mi auguro di rimanere nel nostro mondo, questo sì. E in fondo tre esperienze da allenatore le ho già vissute: la prima con me stesso, poi con Andrew Howe (e mi ritengo fortunatissimo di averlo fatto) e ora con mia figlia Greta, in giardino, durante la quarantena. Posso dire di aver allenato un quarantenne, un trentenne e una quindicenne».
Di recente l'incontro con Papa Francesco in Vaticano. Per promuovere l'asta di beneficenza di "We Run Together"... «Emozione unica, è stato toccante, è un uomo che dà la sensazione di vicinanza, di bontà. Invito tutti a partecipare all'iniziativa di solidarietà We Run Together… io ho messo in palio una cena a casa mia»!
Il capitano della Nazionale di atletica chiude con un messaggio: «Che il rinvio delle Olimpiadi è un'occasione da sfruttare. Ripensando a quel 2000 del record, non mi sentivo pronto per Sydney, era successo tutto in fretta, e con un anno in più sarei stato all'altezza dei Giochi. Cosa consiglio? Tanta passione, tanta lealtà e tanta appartenenza alla maglia che indossiamo, la maglia azzurra. E tanto rispetto».
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