Cassino e Gaeta
21.01.2025 - 20:00
Un giunco. Quello che “cresce su fertili rive in balia delle onde”. Esile e mansueto eppure ben piantato con radici robuste che fanno da scavo e restituiscono al vento l’accomodante domicilio.
Se fosse una pianta Normanno Soscia pittore sarebbe tutto ciò. Ed altro ancora. Il senso rigoroso del nascondimento, lo scandagliare il fondo – e pertanto la memoria – offrirsi all’infedeltà dello sguardo restituiscono, forse, le procedure del dire e del fare di questo straordinario artista.
L’occasione di un viaggio nel viaggio sono le due mostre – in contemporanea – ordinate in questi giorni a Cassino e a Gaeta che ripristinano un percorso di conoscenza finanche esauriente, rigorosa e piena. Oltre cinquanta opere – nelle due sedi espositive – che indicano e propongono l’intera vicenda espressiva del nostro autore. Un mondo, quello narrato e percorso da Normanno Soscia che fa da sottofondo a quello palese delle nostre ore e dei nostri giorni, affollato di accadimenti spiccioli, di drammi collegiali e intimamente unici, di sventatezze, di memorie sacrificate sull’altare della rincorsa. Ma non per questo meno intenso o articolato. Raccoglie i “rumori” di fondo Normanno Soscia, le parole e le immagini del “mai detto”, del celato, del ridicolo, del sogno – che nella confidenza della notte – ha altri volti e inediti gesti.
Una sequenza di figure – e figuri – che gremiscono lo spazio con la loro indolenza – finanche nella forma e nel segno – che riscrivono il senso della passione e dell’inganno, puntualmente al bivio tra il reale e l’apparente con l’immaginifico a scoprire le carte. Eppure un artista a “trecentosessanta gradi”. Ovvero figura mai destabilizzata e destabilizzante, incapace di essere un mistificatore, e soprattutto impossibilitato – proprio per la sua straordinaria umanità – a scindere il ruolo dell’artista da quello dell’uomo.
Un artista a tutto tondo quindi, dove la progressione del segno e delle cromie non proscioglie da altre eventuali condotte. Come dire? Che i minuscoli accadimenti del giorno e della notte – le paure, il desiderio, l’inquietudine, il rifiato, la memoria – si fanno combinazione fatale, necessaria e indispensabile, in una sorta di generosa mescolanza, con il suo itinerario pittorico. Afferma e afferra ciò che non è evidente o manifesto restituendogli alito, carica, vita. Nasce così il suo “bestiario” umano fatto di ombre e bagliori, di occhi affamati e persuasivi, di ballerine e di bari, di amori frettolosi e peccaminosi, di sposalizi ambigui. Tutto confluisce in una sorta di capitolato nel quale non sono apparecchiate priorità o urgenze, perché tutto è urgente e prioritario: il petalo di un fiore al pari dello sguardo affamato; la traccia di una mano e la fatica di un corpo da giocoliere; la docile trasparenze del vermiglio e il frastuono che riempie il nostro disagio.
Un’arte, quella di Normanno Soscia che non esclude mai le presunte “inutilità” o la precarietà dell’effimero. Un’arte che è predisposizione per l’ascolto e il desiderio di conoscere. Che è mozione di offerta e pertanto generosamente ospitale. E non è un caso che la titolazione della mostra – delle mostre – “Miti & Metafore” sia il compendio di queste cifre identitarie curate e custodite da decenni e poste al servizio dell’interlocutore come sguardo sull’altrove o meglio ancora come luogo – ai più celato – dell’immaginifico.
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