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Cassino e Gaeta

Lo sguardo sull'altrove. Due mostre celebrano la pittura di Normanno Soscia

Uno dei massimi autori del realismo magico. “Miti & Metafore”: in esposizione oltre cinquanta opere che ripercorrono l’intera vicenda espressiva dell’artista

Lo sguardo sull'altrove. Due mostre celebrano la pittura di Normanno Soscia

Un giunco. Quello che “cresce su fertili rive in balia delle onde”. Esile e mansueto eppure ben piantato con radici robuste che fanno da scavo e restituiscono al vento l’accomodante domicilio.
Se fosse una pianta Normanno Soscia pittore sarebbe tutto ciò. Ed altro ancora. Il senso rigoroso del nascondimento, lo scandagliare il fondo – e pertanto la memoria – offrirsi all’infedeltà dello sguardo restituiscono, forse, le procedure del dire e del fare di questo straordinario artista.

L’occasione di un viaggio nel viaggio sono le due mostre – in contemporanea – ordinate in questi giorni a Cassino e a Gaeta che ripristinano un percorso di conoscenza finanche esauriente, rigorosa e piena. Oltre cinquanta opere – nelle due sedi espositive – che indicano e propongono l’intera vicenda espressiva del nostro autore. Un mondo, quello narrato e percorso da Normanno Soscia che fa da sottofondo a quello palese delle nostre ore e dei nostri giorni, affollato di accadimenti spiccioli, di drammi collegiali e intimamente unici, di sventatezze, di memorie sacrificate sull’altare della rincorsa. Ma non per questo meno intenso o articolato. Raccoglie i “rumori” di fondo Normanno Soscia, le parole e le immagini del “mai detto”, del celato, del ridicolo, del sogno – che nella confidenza della notte – ha altri volti e inediti gesti.

Una sequenza di figure – e figuri – che gremiscono lo spazio con la loro indolenza – finanche nella forma e nel segno – che riscrivono il senso della passione e dell’inganno, puntualmente al bivio tra il reale e l’apparente con l’immaginifico a scoprire le carte. Eppure un artista a “trecentosessanta gradi”. Ovvero figura mai destabilizzata e destabilizzante, incapace di essere un mistificatore, e soprattutto impossibilitato – proprio per la sua straordinaria umanità – a scindere il ruolo dell’artista da quello dell’uomo.

Un artista a tutto tondo quindi, dove la progressione del segno e delle cromie non proscioglie da altre eventuali condotte. Come dire? Che i minuscoli accadimenti del giorno e della notte – le paure, il desiderio, l’inquietudine, il rifiato, la memoria – si fanno combinazione fatale, necessaria e indispensabile, in una sorta di generosa mescolanza, con il suo itinerario pittorico. Afferma e afferra ciò che non è evidente o manifesto restituendogli alito, carica, vita. Nasce così il suo “bestiario” umano fatto di ombre e bagliori, di occhi affamati e persuasivi, di ballerine e di bari, di amori frettolosi e peccaminosi, di sposalizi ambigui. Tutto confluisce in una sorta di capitolato nel quale non sono apparecchiate priorità o urgenze, perché tutto è urgente e prioritario: il petalo di un fiore al pari dello sguardo affamato; la traccia di una mano e la fatica di un corpo da giocoliere; la docile trasparenze del vermiglio e il frastuono che riempie il nostro disagio.

Un’arte, quella di Normanno Soscia che non esclude mai le presunte “inutilità” o la precarietà dell’effimero. Un’arte che è predisposizione per l’ascolto e il desiderio di conoscere. Che è mozione di offerta e pertanto generosamente ospitale. E non è un caso che la titolazione della mostra – delle mostre – “Miti & Metafore” sia il compendio di queste cifre identitarie curate e custodite da decenni e poste al servizio dell’interlocutore come sguardo sull’altrove o meglio ancora come luogo – ai più celato – dell’immaginifico.

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