Atreju 2025
15.12.2025 - 09:44
Ha tenuto la parola per 61 minuti, toccando tutte le corde dell’orgoglio e non risparmiando da subito stoccate «ad una sinistra che nonostante ogni tipo di macumba ha reso questa edizione di Atreju la più partecipata di sempre». Già, perché mai come quest’anno la kermesse di Atreju (durata nove giorni) ha rappresentato il centro di gravità permanente non soltanto del dibattito politico, ma anche di quello sociale e culturale. Giorgia Meloni, presidente del consiglio e leader di Fratelli d’Italia, ha rilanciato, alzando l’asticella. Ha concluso il suo intervento così: «La sfida più importante è la sfida con le nostre coscienze, la sfida con la nostra faccia quando siamo soli e non ci sono garanzie né giustificazioni. Se è vero che il compito che ci è stato affidato era enorme, allora l’unica opzione è sfidare noi stessi per tenere il passo. Come faccio io, come fa Fratelli d’Italia: la responsabilità che ci è stata affidata voleva dire decidere e rischiare, ma quando sei disposto a sbagliare, allora significa che consideri quello di cui ti occupi più importante di te. Gli unici che non sbagliano mai sono quelli che vivono sotto coperta, e noi non siamo nati per questo, noi siamo nati per osare, stupire, stravolgere, incidere. L’unica sfida è sfidare noi stessi per riuscire a tenere il passo. Non racconteremo la storia ma la costruiremo. In ogni cuore dorme una forza che attende la scintilla giusta: ecco, noi saremo quella scintilla, l’accenderemo di cuore in cuore. Ogni giorno».
Giorgia Meloni ha attaccato frontalmente la sinistra: «Voglio ringraziare Elly Schlein, che con il suo Nannimorettiano “mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo”, ha comunque fatto parlare di noi. La cosa divertente è che il Campo Largo lo abbiamo riunito qui noi e l’unica che dovrebbe federarlo non si è presentata». Aggiungendo: «Qui non si fanno ammucchiate, si invitano tutti. Le ammucchiate le fa la sinistra per le poltrone». E ancora: «Alla regionali speravano di vincere 5-1, si sono giocati qualunque cosa, Cetto La Qualunque in confronto è Bismarck. Poi è finita 3-3, palla al centro. La questione della Palestina l’ha risolta Trump, non loro. Vogliono governare la la nazione insieme, e come fanno? Con lettere degli avvocati?». Ha ironizzato: «Una sinistra che non ha gioito neppure per il riconoscimento alla nostra cucina. Hanno rosicato, è una settimana che mangiano kebab, roba da matti». Quindi gli affondi nei confronti di Ilaria Salis, Francesca Albanese, Greta Thunberg. E Maurizio Landini: «Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori. Però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro tutti muti, anche Landini che faceva le interviste e sul tema fischiettava».
Sulla riforma della giustizia e sul referendum, Giorgia Meloni ha notato: «Sono misure di buon senso, che non hanno nulla a che vedere col mantra “mandiamo a casa la Meloni”. Fregatevene della Meloni, questo governo rimane in carica fino alla fine della legislatura, i governi cambiano ma le leggi restano, votate per voi stessi e per i vostri figli, votate perché non ci debba essere più una situazione come Garlasco». La presidente del consiglio ha rilanciato sia sul premierato («metterà fine ai giochi di Palazzo») sia su “Roma Capitale”. Quindi la politica estera. Ha notato: «Siamo diventati un punto di riferimento per milioni di europei, per chi non si rassegna a un’Europa ideologica, burocratica, distante dai bisogni dei cittadini».
Rilevando poi: «Dal primo giorno siamo stati al fianco dell’Ucraina. E nei giorni più difficili della crisi a Gaza, abbiamo sempre parlato a tutti con franchezza. Non solo: abbiamo curato i bambini feriti nei nostri ospedali. La pace non si costruisce con le canzoni di John Lennon, ma con la deterrenza e con l’impegno quotidiano».
Ma Giorgia Meloni ha voluto soprattutto evidenziare l’azione di governo. Ha argomentato: «Abbiamo lavorato perché sia più conveniente investire in Italia, anche il Sud è diventata una locomotiva, raggiungendo il record di occupati grazie ad una strategia differente, attraverso gli incentivi agli investimenti, alla difesa della legalità. Lo Stato è tornato a fare lo Stato». Ha proseguito: «Ricordate i titoloni di oltre tre anni fa? L’Europa trema, Meloni minaccia la stabilità. Adesso il mood è completamente cambiato. Il Financial Times scrive: l’Europa dovrebbe imparare dall’Italia. Le Monde racconta che la Francia può pagare più dell’Italia per il debito. Noi però non ci culliamo sugli allori, c’è tanto lavoro da fare e l’unico giudizio che conta davvero è quello del popolo italiano. Però essere considerati credibili è una condizione fondamentale. Dicevano che eravamo impresentabili, ora siamo un esempio».
Sempre Giorgia Meloni: «Un’Italia migliore vuol dire anche un’Italia più onesta. Vogliamo una nazione forte, per riprendere il titolo di questa straordinaria edizione di Atreju: si può fare, tanto abbiamo già fatto e moltissimo dobbiamo ancora fare e dimostrare. Agli italiani però voglio dire: dipende pure da voi, non voltatevi dall’altra parte, non siate indulgenti. Perché la nazione è un compito che appartiene a tutti: perciò bisogna sempre pretendere il massimo, senza sconti. E ai “miei” Fratelli d’Italia dico: non smettete mai di ricordare da dove veniamo». Scatta l’inno nazionale, l’edizione di Atreju termina qui. Ma la sensazione forte è che abbia rappresentato anche l’inizio di una campagna elettorale lunghissima. Punto di arrivo: politiche 2027.
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