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L'intervista

La supremazia dell'estetica. A tu per tu con Gianni Mastrantoni

I primi disegni realizzati da bambino. E poi gli studi al liceo artistico e all'Accademia. «Nell'arte filtro la realtà che mi circonda e la rielaboro con la sensibilità»

La supremazia dell'estetica. A tu per tu con Gianni Mastrantoni

L'artista di Priverno Gianni Mastrantoni

Le sue opere si rifanno a un classicismo insolito, di ispirazione greco antica ma anche psicologicamente esposto. Si avverte, nel dualismo che si ripete a ogni occasione, sia lo spirito scientifico del docente sia il tormento interiore della passione. Gianni Mastrantoni, artista privernate, apre una finestra sulla sua arte per i lettori di Ciociaria Oggi.

Quando ha cominciato a dipingere?
«Sin da bambino ho mostrato una certa attitudine al disegno e non mi è sembrato vero potermi imbrattare le mani con le tempere senza essere rimproverato dai miei genitori e dagli insegnanti. Questi ultimi, poi, mi hanno fortemente consigliato di continuare gli studi al liceo artistico, cosa che ho fatto, così come iscrivermi dopo diplomato all'Accademia di belle arti».

…dove ha potuto approfondire la pittura…
«In realtà mi sono diplomato in scultura seguendo le lezioni di Emilio Greco (1913 – 1995, uno dei più grandi scultori del Novecento, ndr) e oggi sperimento ancora un po' di tutto. Certo, l'olio resta ancora la tecnica pittorica per eccellenza ma non disdegno di arricchirlo con altre sostanze come gli smalti, per avere cromie più vissute e più materiche. Mi piace, ogni tanto, variare con la grafica ma rigorosamente su tela con carta intelata perché amo questa tecnica che sta alla base della mia arte».

Oggi per "grafica" si intendono esclusivamente i multipli, le acqueforti, le litografie, le serigrafie, le stampe… Mastrantoni precisa, in controtendenza, che la grafica per eccellenza è il disegno, che è un'opera unica.
Che cosa è l'arte per lei?
«È parte integrante del mio mondo, è l'esperienza di fondo che io vivo ed è una ragione della mia esistenza. Nell'arte filtro la realtà che mi circonda e la rielaboro con la sensibilità. Le mie tematiche hanno del contingente e indagano laddove si sente più forte l'assenza di certezze. Più tecnicamente l'arte può essere considerata come matematica pura, laddove si presuppone che i colori, le prospettive, i volumi e i segni siano misurabili con numeri. Questo non vuol dire che l'artista debba necessariamente seguire le regole, anzi... Il bravo artista è colui che trova il punto d'equilibrio tra l'arte intesa come matematica e il suo spirito libero».

La sua realtà è figurativa?
«Tendenzialmente sì, anche se mi sento inserito in una nuova figurazione che propende per una simbiosi con l'informale. Di fatto cerco di dare più valore ai sentimenti, alle emozioni e alle esperienze, che creano un'aria mistica che pervade ogni mia opera. È questo un punto importante della mia arte, che a volte può sembrare eccessivamente religiosa. Se la ragione non può dare la conoscenza della realtà, perché l'essenza di essa è al di là delle cose, è anche vero che un critico d'arte ha scritto che le mie opere "sanno di religiosità anche quando il tema non è prettamente religioso…". Badi bene, però, il valore determinante che metto in luce non è un soggetto religioso ma situazioni di disagio sociale e umanitario: mendicanti, migranti disperati, barboni addormentati, persone che si vendono… E stridente appare il contrasto con gli aspetti più superflui della vita, che spesso diamo anche per scontati».

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