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Frosinone

Imu, il confronto. Nel capoluogo si paga 650 euro

A Frosinone i valori tra i più bassi del Lazio ma anche quelli più alti per gli immobili di lusso. Martedì la scadenza della seconda rata, la Uil mette a confronto i costi, segnalando forti disparità

Imu, il confronto. Nel capoluogo si paga 650 euro

Il quadro tracciato dalla Uil con le città più care e meno care per l’Imu su prima e seconda casa e la situazione nei capoluoghi del Lazio

Conto alla rovescia per la scadenza del saldo dell’Imu. Entro il 16 dicembre i proprietari di seconde case e degli immobili di pregio, soggetti all’imposta municipale, dovranno provvedere al pagamento della seconda tranche dopo quella di giugno.

Ma dov’è che si paga l’Imu più cara? A questa domanda ha dato una risposta la Uil che ha messo a confronto l’imposta su prime e seconde case in tutti i capoluoghi italiani.

Dando uno sguardo allo studio del servizio Stato sociale, politiche fiscali e previdenziali, immigrazione della Uil, diretto dal segretario confederale Santo Biondo, per prima cosa, dai numeri del Lazio emerge che a Frosinone si paga la seconda tariffa più bassa della regione per le seconde case e la seconda più alta per le prime case. Per le seconde abitazioni, a Frosinone il costo medio sostenuto dai contribuenti per il saldo è di 325 euro per un totale annuo, tra prima e seconda rata, di 651 euro. Per gli immobili di lusso, soggetti all’Imu anche se prima casa, il saldo per i frusinati ammonta in media a 406 euro per un totale annuo di 812 euro.

Per le seconde case nel Lazio si pagano, tra prima e seconda rata, 3.499 euro a Roma, 1.006 a Viterbo, 792 a Rieti, 651 appunto a Frosinone e 613 a Latina. Mentre per le prime case a Roma si pagano 2.888 euro, a Frosinone 812, a Latina 750, a Rieti 620 e a Viterbo 591.
Spostando l’orizzonte a livello nazionale, dallo studio condotto dalla Uil emerge allora che le cinque città più care per l’Imu sulla prima casa sono Venezia con 3.001 euro di spesa media annua, Roma con 2.888, Milano con 2.777, Padova con 1.702 e Siena con 1.694. La media nazionale è di 977 euro. All’opposto l’Imu è decisamente più economica per le case di lusso ad Agrigento, 278 euro annui, Caltanissetta e Cosenza, entrambe con 385, Isernia, 416, e Palermo, 437.
Sulla seconda casa, invece, la stangata arriva per i residenti di Roma con 3.499 euro, Milano con 2.957 euro, Venezia con 2.335 euro, Torino con 1.984 euro, e Firenze con 1.973. Spesa più economica da sostenere per chi possiede un secondo immobile a Palermo, 391 euro annui, Pesaro, 394 euro, Cosenza, 395 euro, Enna, 460 euro e Caltanissetta, 485 euro. In questo caso la spesa media si attesta sui 915 euro.

«È bene precisare - si legge nello studio - che, in Italia, l’imposta municipale propria non è dovuta sull’abitazione principale (a meno che non rientri tra le abitazioni di lusso delle categorie A/1, A/8 o A/9), ma su seconde case, immobili commerciali, aree edificabili e terreni agricoli. Sono equiparate alle prime case anche altre categorie specifiche come le case popolari, gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa e adibiti ad abitazione principale dei soci assegnatari e i fabbricati utilizzati come alloggi sociali. Stando ai dati dell’Agenzia delle Entrate del 2020, sono oltre 26,1 milioni i proprietari che versano l’Imu: per il 41% sono lavoratrici e lavoratori dipendenti e pensionati. Il gettito complessivo annuo è di 19,4 miliardi di euro».

Secondo il segretario confederale Biondo, «i dati restituiscono il quadro iniquo di una vera e propria “lotteria fiscale”, derivante da valori obsoleti, e un mosaico di aliquote locali che alimentano ingiustizie e disuguaglianze. Servono valori che rispecchino il mercato, con verifiche periodiche e criteri omogenei su tutto il territorio nazionale. La revisione, poi dovrebbe essere a gettito complessivo invariato: si aggiornano le basi imponibili, si abbassa l’aliquota di riferimento e si correggono le storture, senza gravare su chi già paga il giusto. Urge, quindi, maggiore progressività: chi possiede patrimoni immobiliari di alto valore, case di lusso o immobili lasciati vuoti deve contribuire di più, mentre chi ha redditi medio-bassi, famiglie numerose o affitta a canone concordato deve beneficiare di sconti automatici e tutele certe.

Inoltre - ha precisato il sindacalista della Uil - non solo riteniamo intangibile l’esenzione sulla prima casa non di lusso, ma crediamo sia necessario uniformare le detrazioni comunali, per garantire pari trattamento ai cittadini con la stessa condizione economica, ovunque risiedano. Serve poi una regola nazionale chiara che definisca un range di aliquote entro cui i Comuni possano muoversi, con l’obbligo di spiegare pubblicamente ogni aumento. Meno discrezionalità e più responsabilità: se si alza l’aliquota, si deve dire con chiarezza per quali servizi e con quali risultati. Pertanto proponiamo l’istituzione di una banca dati unificata (catasto, anagrafe, utenze e locazioni) come strumento essenziale per stanare le false pertinenze e gli immobili fittiziamente “inutilizzati”.
Recuperare la base imponibile significa alleggerire chi oggi paga per tutti. Inoltre, occorre una strategia unitaria che deve comprendere Imu, canone concordato, rigenerazione urbana e social housing per garantire meno penalità sugli affitti calmierati e più incentivi per chi ristruttura e rimette sul mercato l’invenduto e lo sfitto».

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