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Cronaca nera

Omicidio Willy, sconto solo a Gabriele

Pubblicate le motivazioni della Corte d’assise d’appello bis: per Marco Bianchi resta l’ergastolo. Per il fratello, invece, ha pesato il percorso intrapreso in carcere dallo studio universitario al lavoro

Omicidio di Willy, la sentenza il 14 marzo. In appello parola alle difese dei fratelli Bianchi

I fratelli Marco e Gabriele Bianchi sono a processo davanti alla Corte d’assise d’appello di Roma per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte

«Il comportamento dell’imputato presenta elementi di discontinuità rispetto ai precedenti atteggiamenti aggressivi nei rapporti sociali». Lo studio e il lavoro in carcere, la nascita del figlio. Sono gli elementi valorizzati dalla Corte d’assise d’appello bis nel riconoscere a Gabriele Bianchi l’equivalenza tra le attenuanti generiche e l’aggravante dei futili motivi. Lo si legge nelle motivazioni della Corte d’assise d’appello chiamata a pronunciarsi sull’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il giovane cuoco di Paliano, massacrato di botte a Colleferro nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020. Se, da una parte, ha confermato per Marco Bianchi l’ergastolo, deciso dai giudici di Frosinone in primo grado il 4 luglio 2022, dall’altra, è scesa a 28 anni per Gabriele Bianchi. I fratelli di Artena sono stati giudicati nuovamente in appello dopo che la Corte di cassazione aveva annullato la precedente pronuncia, limitatamente al riconoscimento delle attenuanti generiche, con tanto di sconto da fine pena mai a 24 anni.

Il nuovo giudizio, premette la Corte d’assise d’appello, si è concentrato «esclusivamente sul riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche» o meno essendo «definitivamente accertata la responsabilità penale di Gabriele Bianchi e Marco Bianchi per il reato di omicidio doloso ai danni di Willy Monteiro Duarte». La cui famiglia si è costituita parte civile attraverso gli avvocati Vincenzo Galassi e Domenico Marzi. La Corte respinge le argomentazioni difensive sulla rilevanza mediatica del caso: «non appare ravvisabile un’influenza mediatica sulle valutazioni della Corte di merito di primo grado» posto che il no alle attenuanti generiche si è fondato «su dati processuali inequivocabili». Inoltre, «non possono accogliersi» nemmeno «le interpretazioni in chiave sociologica offerte dalle difese».

La Corte scrive: «Gabriele Bianchi e Marco Bianchi - dopo il primo violentissimo calcio che aveva mandato a terra il giovane Wily - avevano colpito, unitamente agli altri due complici, con calci e pugni il giovane indifeso, ormai a terra esanime, per un tempo che correttamente è stato considerato “interminabile”, a prescindere dalla durata cronometrica». I giudici rilevano che «l’iniziale condotta violenta tenuta da Gabriele Bianchi avrebbe potuto esaurire la vicenda, avendo l’imputato colpito la vittima con un calcio portato con tecnica di arti marziali e con la forza derivante dall’avere fatto leva per il caricamento su un cartello stradale; Willy era finito contro una vettura e poi in terra, in condizioni già vistosamente compromesse, che lo rendevano incapace di alcuna reazione e difesa dai colpi degli imputati. Non vi era, dunque, alcuna ragione per usare ulteriore violenza e infierire sul corpo esanime del giovane. Nonostante ciò, i quattro imputati si erano avvicinati a Monteiro e l’avevano colpito con una continua serie di calci e pugni, che aveva raggiunto tutte le parti più sensibili del corpo, cagionandogli le lesioni agli organi vitali». Un’aggressione durata tra i 40 e i 50 secondi con la vittima non più in grado di «offrire alcuna resistenza per limitarne la portata».

Per la Corte gli imputati non si sono solo limitati «ad accettare il rischio dell’evento infausto» in quanto «il decesso di Willy rappresentava una conseguenza altamente probabile dell’azione insistita e violenta dei quattro imputati ed è stato da loro voluto». Sottolineati «il numero e la gravità dei colpi inferti» nonché «la conoscenza delle arti marziali per esercitare violenza verso un soggetto esile e, dopo il primo calcio, del tutto incapace di alcuna reazione o difesa; l’assenza di alcuna motivazione dell’aggressione». La lite quando i Bianchi arrivano dal cimitero di Colleferro era finita.

Sulla “fama” dei Bianchi la Corte ricorda «l’agitazione creatasi al momento dell’arrivo degli imputati sul luogo del fatto, dovuta al timore per le loro possibili condotte violente e immotivate». Valorizzati anche i precedenti e, in modo particolare, «una condanna definitiva alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione e 18.000 euro di multa per i reati di spaccio di sostanze stupefacenti (cocaina) e tentata estorsione». Condanna che, per la Corte, «appare significativa» in considerazione «dell’elevato tenore di vita che gli imputati avevano al momento dell’omicidio, pur senza svolgere alcuna attività lavorativa». Sulla scelta di differenziare le posizioni dei fratelli pesa il comportamento tenuto in carcere da Gabriele che si è iscritto alla facoltà di Scienze della comunicazione, ha svolto un corso di giustizia riparativa e lavorato all’interno della struttura. Da qui la scelta di comminare a Gabriele 28 anni e di ripristinare per Marco l’ergastolo. Ora i loro difensori, gli avvocati Ippolita Naso e Valerio Spigarelli e Leonardo Bianchini e Vanina Zaru valuteranno un nuovo ricorso in Cassazione.

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