Sora
05.05.2025 - 09:02
“Pizzicato” da un residente mentre si droga. Sconcerto a pochi metri dal centrale corso Volsci, dove un uomo è stato sorpreso da un ragazzo che lo ha invitato ad allontanarsi. Si torna così a parlare di tossicodipendenza, delle siringhe sporche di sangue tra i vicoli, del mercato dello spaccio che è la “piazza” di Sora, dove le forze dell’ordine sono sempre impegnate per contrastare il fenomeno. La cronaca riporta anche di storie che terminano nel peggiore dei modi, con giovani uccisi dalla droga e gesti estremi sempre più frequenti.
Arriva un appello dalla comunità di recupero “Figlia di Sion”.: «A che cosa è servito questo dolore? Realtà che ci hanno aperto gli occhi su argomenti che forse non conosciamo? O che non vogliamo conoscere? Si fa subito a darsi delle risposte: sofferenze personali, delusioni, problemi familiari uniti a mancanza di lavoro, di futuro, di prospettive, decadenza della società, inflazione, spopolamento, “si stava meglio quando si stava peggio”, famiglie distrutte, mancanza di valori, di educazione, guerre, pandemie, violenza dilagante. Sembriamo anestetizzati e abbandonati a una realtà che non possiamo nè combattere, né cambiare. Uomini senza speranza in un mondo soggetto al fatalismo. Paradossalmente, non sono però dello stesso avviso i venditori di morte. Sempre pronti a investire e fare imprenditoria. Quindi ci troviamo in mezzo a storie di ragazzi con migliaia di euro di debiti. Che provano a lavorare, che chiedono ai genitori, che dilapidano patrimoni, che si inventano qualche truffa, che spacciano un po’, che fanno un salto in qualche casa di notte, ma anche di giorno, che non riescono a coprire, anzi. Ci troviamo in mezzo a storie di ragazzi che scelgono la morte un po’ alla volta, goccia a goccia, tutti i giorni, anche passando la vita nei dintorni di un bar fino a non riuscire più a immaginarsi altro.
Che se va bene sopravvivono a qualche incidente che, invece, ad altri non ha lasciato scampo. È pur vero che, se si tratta di questi argomenti, è molto più facile scadere nel giudizio e nel disprezzo: “l’ha voluto lui!”, “se l’è fatto con le sue stesse mani”, “poteva fermarsi quando era in tempo”. In un attimo si passa dal “poveretto” al “meglio così, uno di meno”. Da un’estremizzazione all’altra. E allora meglio il buonismo travestito da rispetto e buon senso: “Un bravo ragazzo”, “un ragazzo d’oro”, “sempre disponibile”. Cose vere, facili, comode, ma che non sono tutto. Ma queste frasi fatte, sia da un lato che dall’altro, coprono e sommergono quelle realtà concrete che potevano essere cambiate per provare a dare un finale diverso! Quindi, che cosa rimane a tanti altri ragazzi che vivono in situazioni simili? A che cosa servono le candele accese, gli striscioni, gli eventi in onore se poi questi poveri ragazzi non diventano esempi da non imitare per chi era lì a fianco, per chi resta? Per dire: “Non arrivare alla mia stessa condizione. Non fare quello che ho fatto io. Chiedi aiuto prima. C’è un’altra strada. Rialzati”».
Riflessioni, parole per sottolineare un fenomeno che sembrava superato. L’associazione da anni è in prima linea. «Sappiamo – sottolineano – che in pochi giorni il clamore per queste notizie, per noi passerà. Per una madre, un padre, una sorella, un fratello, un figlio, una figlia, per loro no, non passerà. Sarà un bagaglio di domande, di vergogne, di rimorsi che dovranno portarsi dietro tutta la vita, ovunque andranno! E vorremmo evitare sofferenze simili a tanti altri».
La comunità “Figlia di Sion” ha il sito internet e i canali social attivi.