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Il ricordo

Fraternità e Vangelo. L’eco di Francesco

L’arcivescovo Vincenzo Paglia e il legame con il pontefice. L’ultimo incontro è avvenuto lo scorso mese di gennaio

L’arcivescovo Vincenzo Paglia con Papa Francesco

Tra le voci più autorevoli che, in queste ore, hanno parlato della morte di Papa Francesco, c’è quella di monsignor Vincenzo Paglia, nato a Boville Ernica, nel cuore della diocesi di Frosinone, nel 1945 (ha compiuto 80 anni proprio nel giorno in cui Bergoglio è tornato alla casa del Padre) arcivescovo, membro del Dicastero per l’Evangelizzazione, Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia e presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Papa Francesco e monsignor Vincenzo Paglia avevano un rapporto stretto: il primo incontro avvenne ancor prima che Bergoglio venisse eletto. Un rapporto che si è subito consolidato. Parlavano spesso. E di tantissime tematiche. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente.

Che ricordo ha di Papa Francesco?

«Perdiamo un grande testimone del Vangelo, della fraternità fra tutti, in un mondo che si frantuma sempre più (il Venerdì Santo Bergoglio ha parlato di un mondo a pezzi). Ha rappresentato con continuità la forza di prenderci cura gli uni degli altri, non solo singolarmente, ma anche tra i popoli. Questa sua convinzione l’ho potuta toccare con mano fin dal primo giorno del suo pontificato, il 13 marzo 2013. Ricordo mentre tornava a Santa Marta, dopo la celebrazione con la papamobile. Io ero con mia madre e i miei fratelli, ad alcune decine di metri di distanza, all’interno del cortile. Lui mi vede, fa girare la macchina e scende. Mi dice “Paglia”. Mi chiamava così all’inizio e mi invitò a visitare il cortile. Ci fermammo a parlare per una quindicina di minuti. Un’emozione indescrivibile. Mi ricordò dell’incontro di due anni prima, in Spagna, a Valencia, nella Giornata mondiale delle famiglie. Mi disse “lei stava davanti a me, poi mi sono voltato e abbiamo parlato. Mi è rimasta impressa la sua frase che il cardinale pensa di avere la Chiesa in tasca e, aggiunse, ma la Chiesa è di tutti”. Poi parlammo anche dell’arcivescovo di San Salvador, monsignor Oscar Romero (ucciso nel 1980 e proclamato santo da Papa Francesco nel 2018, ndr) e di continuare per la causa. Da quel secondo incontro a Santa Marta, ne sono seguiti molti per parlare delle iniziative e delle prospettive relative alla pace, alla famiglia, a questioni riguardanti la vita».

Quando lo ha visto l’ultima volta?

«A gennaio. Abbiamo parlato di diverse tematiche, comprese quelle degli anziani, dell’intelligenza artificiale e altre questioni più interne alla riorganizzazione dell’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sulla famiglia. L’ho trovato determinato come al solito e ancora con grandi visioni».

Che eredità lascia Francesco?

«Papa Francesco era attento alla realtà del popolo di Dio, alla realtà della condizione dell’uomo e della donna in questo tempo. A lui non importava toccare i princìpi, voleva salvare tutti, condurre i più deboli e coloro che erano maggiormente feriti a una condizione di dignità. Posso dire che ci lascia una visione globale, che manca alla politica e alla cultura contemporanea, che è quella espressa dalle due grandi encicliche sul creato, Laudato si’, e sulla fraternità umana, Fratelli tutti. Sono due encicliche legate l’una all’altra. In un mondo in cui mancano le visioni globali e ognuno è come ripiegato su di sé, Papa Francesco ci offre una visione chiara: il pianeta come casa comune e i popoli come un’unica famiglia che deve custodirla e abitarla fraternamente. Voleva un cristianesimo felice, non triste, in uscita e non chiuso, che si dirigeva a tutti senza escludere nessuno e se c’è un privilegio da concedere è quello che deve essere dato ai poveri, ai malati, ai carcerati, agli immigrati, agli anziani esclusi, ai bambini abbandonati. Insomma, a quelli ai quali Gesù per primo si è diretto. E questo spiega perché ha scelto il nome di Francesco».

Circa dieci anni fa la nomina alla guida della Pontificia accademia per la vita e del Pontificio istituto “Giovanni Paolo II”...

«Papa Francesco mi affidò la guida e mi chiese di ampliarne gli orizzonti: promuovere la dignità della vita, sia nelle diverse età che nelle diverse condizioni e considerare la famiglia come una realtà storica complessa che andava compresa e aiutata. Si è trattato anzitutto di ampliare il concetto di “vita umana”. La vita va difesa sempre in tutte le situazioni».

Qualche aneddoto che ricorda in modo particolare?

«Era convinto che San Valentino fosse soltanto una ricorrenza mondana per i fidanzati. Portai trentamila giovani in San Pietro e cambiò opinione. Gli raccontai i pellegrinaggi dei fidanzati a Terni, quando ero vescovo della diocesi, dal 2000 al 2012, per visitare la salma di San Valentino, per chiedere al Santo di aiutarli a fare in modo che il loro amore fosse eterno. E così dissi al Papa che dovevamo raccogliere questa sfida, rispetto all’amore liquido che si dissolve alla prima difficoltà. E fu una festa straordinaria con più di trentamila fidanzati in piazza San Pietro. Ed ancora, ricordo la gioia di Papa Francesco quando lo scorso anno organizzammo un incontro con lui e seimila tra nonni e nipoti. Lo vidi come ringiovanire, con caramelle nelle mani. Girava nell’aula Paolo VI distribuendo rosari e caramelle. Ha voluto dedicare una giornata apposita ai nonni sottolineando l’importanza delle relazioni vere e non virtuali, che l’alleanza tra nonni e nipoti può far riscoprire una dimensione affettiva a una società che spesso è anaffettiva. Era felice».

Che Chiesa lascia Bergoglio?

«Quella che Francesco ci ha lasciato è una Chiesa uscita dall’autoreferenzialità. La Chiesa di Francesco è analoga alla parabola del “Buon samaritano”, una Chiesa attenta ai più deboli. La Chiesa di Francesco chiede che quel povero venga curato e diventi come un ospedale da campo. Le nostre chiese e le comunità ecclesiali devono continuare a vivere questo doppio comandamento: il primo la preghiera e l’ascolto del Vangelo, e il secondo l’amore per i più poveri».

Indipendentemente da chi sarà il nuovo pontefice è pensabile che possa continuare sul solco tracciato da Francesco?

«Credo sia impossibile tornare indietro. Ovviamente il nuovo Papa “colorerà” o “interpreterà” queste due prospettive con la sua propria creatività ma con la stessa passione».

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