Spazio satira
Frosinone
10.03.2025 - 11:00
La Corte d’assise di Frosinone si è vista confermare in appello la condanna a 24 anni per Pietro Ialongo, sotto con Romina De Cesare
Pietro Ialongo «quando comprende che il 3/5/2022 la De Cesare si sarebbe allontanata dall’abitazione e, verosimilmente, non sarebbe più tornata con lui, decide consapevolmente e con lucidità di uccidere la vittima, senza poi mostrare alcuna effettiva resipiscenza, come se il tragico epilogo fosse in qualche modo addebitabile al comportamento della ragazza».
È un passo delle motivazioni con le quali la I Corte d’assise d’appello di Roma ha confermato la condanna a 24 anni di reclusione per Pietro Ialongo, accusato dell’omicidio dell’ex fidanzata Romina De Cesare, il 3 maggio 2022, con l’aggravante del rapporto di convivenza e dall’aver commesso il fatto nei confronti di una persona con cui aveva posto in essere atti persecutori. La coppia, originaria del Molise, con trascorsi anche a Parigi, da tempo viveva nel centro storico di Frosinone.
La Corte, presieduta dal giudice Gaetano Capozza, afferma che «la valutazione operata dalla Corte di assise di responsabilità dell’imputato», che, in appello, è stato difeso dal nuovo avvocato Marilena Colagiacomo, «è corretta, aderente alle risultanze in atti e fondata su argomentazioni pienamente condivisibili». La Corte ricorda che l’omicidio è avvenuto, nell’appartamento che i due ancora condividevano per ragioni economiche, pur essendo di fatto non più fidanzati, in via del Plebiscito. Dalle telecamere della zona - come ricostruito in aula davanti alla Corte d’assise di Frosinone, presieduta dal giudice Francesca Proietti, dall’allora dirigente della squadra mobile di Frosinone Flavio Genovesi che ha diretto le indagini - si vede Romina rientrare alle 0.27. Dieci minuti più tardi Ialongo lascia per l’ultima l’abitazione.
Dunque, «in pochi minuti - scrivono i giudici - l’imputato non solo aggredisce con estrema violenza la De Cesare, appena entrata a casa, ma si reca anche in bagno per lavarsi le mani e per pulire il coltello (come emerge dal rilevamento di tracce ematiche a mezzo luminol nel lavandino e sulla manopola) tanto che sui vestiti successivamente rinvenuti non sono state trovate ulteriori tracce ematiche della vittima, nonostante avesse portato con sè l’arma». Per la Corte, «certo è che la morte della De Cesare è avvenuta a causa delle numerose coltellate sferrate dall’imputato», quattordici.
Ialongo - ribadisce la Corte - «non accettando la fine della relazione, assume sempre più un comportamento ossessivo e persecutorio verso la De Cesare, fino a riprenderla, il 28/4/2022, con il proprio cellulare, in un audio-video, di notte, con la De Cesare, sempre più esasperata, che ribadisce la fine della loro relazione (“Te l’ho detto, non c’è più niente tra di noi, già da tempo”) e la decisione, ormai presa, di trovare un’altra sistemazione essendo la situazione divenuta intollerabile (“Si ma, io me ne vado, perché non può continuare”)».
Quindi, l’epilogo: «la sera del 2 maggio l’imputato aspetta, vestito, il rientro a casa della De Cesare e verso le 00.35 del 3 maggio, in un impeto d’ira, la uccide colpendola con ben 14 coltellate». Come confermato anche dai vicini di casa cinesi che riferiscono «di aver sentito delle urla femminili verso le 00.35, la caduta di un corpo e subito dopo il rumore di passi per le scale e la chiusura del portone». La Corte rimarca il fatto che Ialongo, nell’interrogatorio, nel quale confessa l’omicidio ricorda di averla colpito “solo” quattro volte con «il coltello che lei gli aveva regalato».
Esaminati la capacità di intendere e volere di Ialongo e i problemi di salute conseguenti a un incidente stradale avuto da ragazzo, ritenendo che «la valutazione operata dalla Corte di piena capacità di intendere e di volere dell’imputato, al momento del fatto», è «coerente con le risultanze in atti e pienamente condivisibile». Aggiungono poi i giudici: «Nonostante il perdurante problema ortopedico e le difficoltà incontrate da entrambi, al ritorno in Italia, a trovare un’adeguata e stabile occupazione lavorativa, il rapporto affettivo procede per molti anni, almeno fino al febbraio 2022».
Ad aprile, quando Romina, che a Parigi lavorava in banca e aveva lasciato il lavoro per seguire Pietro in Italia, qualcosa scambia. Romina conosce un collega di Alatri e inizia una nuova frequentazione. Così «l’atteggiamento dell’imputato verso la De Cesare muta decisamente» e «i contrasti diventano frequenti con la richiesta sempre più pressante di riavere i soldi spesi per l’acquisto dell’autovettura a lei intestata». Pietro, inoltre, «rimanda continuamente la scelta di ritornare a vivere nel paese di origine per motivi pretestuosi». Inoltre, una sera, il 26 aprile, costringe Romina a chiamare il 112 perché non voleva farla rientrare a casa. Infine, il 2 maggio, quando ormai aveva deciso di tronare dai suoi, «con un altro pretesto», un corso di nuoto già pagato, Pietro «decide di rimanere a Frosinone ma di pomeriggio spegne il proprio telefono».
In pratica, Ialogno «vice una situazione di forte stress psicologico» in quanto «viene a trovarsi senza più alcuna valida e concreta prospettiva di vita - scrivono ancora i giudici - e allora, utilizza strumentalmente i propri problemi fisici e finanche i motivi di contrasto nel tentativo di continuare ad avere comunque un legame con la ragazza; non accetta la fine della relazione e, soprattutto, l’idea che la De Cesare possa iniziare una nuova relazione con un’altra persona». Romina è decisa da andare via di casa, a Cerro al Volturno, ma non riuscirà a farlo in quanto sarà uccisa alle 00.35 dello stesso giorno in cui avrebbe lasciato la casa di via del Plebiscito.
In definitiva, per i giudici Ialongo «agisce, al momento del fatto, in modo lucido, consapevole e anche organizzato» e, «con rabbia crescente, la colpisce subito, appena rientrata, pulisce l’arma del delitto, si allontana con l’autovettura», andando verso il mare dove poi sarà fermato l’indomani dai carabinieri a Sabaudia. Nel confermare la condanna di primo grado, la Corte ritiene configurabile entrambe le aggravanti, quella della convivenza, e quella degli atti persecutori.
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