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Solidarietà

Gli “angeli” in missione. L’Africa è più vicina

L’esperienza di quattro medici dell’ospedale di Frosinone che hanno prestato la loro opera all’Hewo Hospital di Quihà in Etiopia

Medici dello Spaziani di Frosinone in missione in Africa

I medici dello Spaziani di Frosinone in missione in Africa

Il Giuramento di Ippocrate, gelosamente custodito nel taschino sinistro della giacca, proprio sopra il cuore che batte forte come se fosse la prima volta. I biglietti aerei Roma-Addis Abeba-Makallé andata e ritorno nella borsa a tracollo. Un trolley extralarge per ognuno perché bisogna ottimizzare tutto lo spazio utile per far entrare anche gli “strumenti” del mestiere e le donazioni (hanno portato anche felpe e magliette per giocare a calcio). E dodici ore di viaggio per arrivare a destinazione tra voli aerei e taxi, nel villaggio di Qiuhà, a qualche chilometro da Makallé, nello stato regionale del Tigrai.

Per due settimane quattro medici dell’ospedale “Fabrizio Spaziani” di Frosinone che fanno parte della Onlus Aviap (un’associazione di volontari italiani per l’aiuto alle popolazioni dell’Africa, che fa parte della Consulta delle associazioni del comune di Frosinone) hanno prestato la loro opera all’Hewo Hospital di Quihà. Un ospedale completo anche di chiesa e di scuola per bambini poveri del villaggio. La struttura è un ex lebbrosario costruito da una coppia di medici infettivologi italiani (i coniugi Carlo e Franca Travaglino, poi deceduti) diventato poi ospedale di riferimento per un villaggio di 6.000 anime.
È un lavoro di equipe a tutti i livelli, perché se la Onlus si occupa della parte legata al sostentamento finanziario della struttura (stipendi del personale, lavori, vitto ecc), l’associazione “Lazio Chirurgia” coordina tutte le equipe di medici che si alternano sul posto.

I quattro dell’ospedale frusinate sono il dottor Nicola Apice (primario della U.O.C di Chirurgia Generale), i dottori Marcello Beverati e Paolo Polichetti (entrambi dirigenti medici di I Livello al reparto di Chirurgia Generale), il dottor Walter Ciaschi (dirigente Medico di I Livello – Altissima professionalità nelle cure Antalgiche). Non parliamo di neofiti quanto ad esperienze di questo tipo perché dal 2006 ad oggi si sono alternati tra Etiopia (sempre a Quihà, per il progetto-tiroide), in Ruanda (progetto Ciociaria-Ruanda andata e ritorno, grazie anche alla collaborazione con la Caritas diocesana di Frosinone che opera sul posto), in Camerun, nella provincia di Ebolowa (progetto di cooperazione sanitaria di camera operatoria). Nel 2019 – anno in cui la Onlus ha istituito un premio alla carriera per i medici “anziani” che hanno dimostrato particolare impegno nel settore della cooperazione sanitaria e della solidarietà - lo stop per la pandemia e dallo scorso anno si è tornati a pieno ritmo. Da considerare che solo a Quihà nel corso di un anno si alternano “missioni” di medici italiani due volte al mese, tranne che nel periodo delle piogge.
Particolare numero 1: tutti i progetti vengono attuati grazie alle donazioni che si raccolgono in Italia nelle serate di beneficenza. Particolare numero 2: i quattro professionisti hanno pagato personalmente le spese di viaggio e di vitto (l’alloggio era fissato nella Guest House allestita a due passi dall’ospedale) e si sono messi in ferie dall’azienda sanitaria.

Il racconto

«Questa esperienza – ci racconta il dottor Walter Ciaschi, il portavoce dei quattro medici dell’ospedale del capoluogo – ci ha insegnato che non bisogna avvicinarsi a questi territori ed a queste popolazioni come una sorta di “conquistadores”. Al contrario la cosa più importante è saper interagire dal punto di vista umano, quindi integrarsi nelle loro tradizioni e nel loro modo di fare. Presentarsi con grande umiltà e fare in modo che le figure che si interfacciano con noi debbono sentirsi protagonisti dal punto di vista medico-chirurgico, parte integrante del progetto, protagonisti. In quindici giorni abbiamo programmato ed effettuato circa 50 interventi chirurgici, anche fino alle ore 22. Al nostro fianco infermieri e ferristi locali, attenti e coinvolti appieno. È stato questo il valore aggiunto, ciò che ci ha distinto da altre equipe. Faccio un esempio: dopo un’operazione molto delicata su una donna, gli infermieri hanno fatto la notte con noi, non si sono voluti allontanare. È stato questo un momento di grande emozione, gratificazione umana e professionale per noi. Se ci consideriamo missionari? Ci consideriamo delle persone alle quali piace questo lavoro, piace essere a disposizione degli altri. Se questo vuol dire essere missionari, allora considerateci missionari».
«All’interno dell’ospedale ci sono due sale operatorie allestite, che però vengono utilizzate solo in presenza delle equipe italiane. Il materiale in parte lo abbiamo portato noi – prosegue il dottor Ciaschi – e in parte lo abbiamo acquistato in loco, permettendo così anche di sviluppare una microeconomia del posto. L’ospedale ha un laboratorio analisi e i reparti di Medicina, malattie Infettive e Pediatria. I casi più importanti operati da noi? L’intervento ai gozzi. Considerando la natura del luogo, un altopiano, questo tipo di problemi sono accentuati».

«Parliamo anche di integrazione – continua nel racconto - Nell’ospedale c’è anche un campetto da calcio. E nella struttura, tra i bambini ricoverati, c’era un bambino senza gambe. Nessun problema, lui era il portiere di una delle due squadre. Da capitano della sua squadra. Durante la nostra permanenza è arrivato anche un detenuto, scortato da guardie carcerarie, per essere operato. Debbo ribadire che la Guest House che ci ha ospitato aveva stanze da tre, con una cucina in comune e una sala ricreativa. E quando c’era la necessità ci spostavamo a Makallé in taxi. Una città che nel 2006 aveva 200.000 abitanti e oggi ne conta un milione. Capite bene come è cambiato quel territorio sconfinato che ha bisogno di tutto».

Domanda sorge spontanea: ma da quelle parti come funziona la… Asl? Cioè come si evita che ad esempio arrivino medici sotto mentite spoglie come sovente si sente nella civilissima Italia? Il dottor Ciaschi sorride e poi spiega: «Le nostre associazioni sono garanzie totali. E comunque prima di mettere piede in ospedale bisogna presentarsi al Ministero della Salute del Tigrai, presentando tutte le documentazioni professionali attestanti la laurea e il ruolo di medici specializzati. Ecco, diciamo che sono molto rigidi». E infine: pensate già al ritorno? «Pensiamo che queste esperienze ti danno qualcosa di unico». Quel cuore che batte sempre forte sotto il Giuramento di Ippocrate.

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