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Fiuggi

«Trentasette mesi di inferno». Maurizio Cocco si racconta

L’ingegnere ripercorre quello che ha passato nel carcere di Abidjan, in Costa d’Avorio: «Stavo in una stanza con duecento persone, un solo bagno. Anzi, un buco per terra»

«Trentasette mesi di inferno». Maurizio Cocco si racconta

Sono le 11. Ora italiana. Pochi squilli e ci risponde sul suo numero, tramite WhatsApp. La sua voce è stanca ma squillante. Percepiamo fin da subito che la sua forza è stata sicuramente determinante per non crollare. Per non lasciarsi morire in uno degli istituti penitenziari più duri al mondo.

Dall’altra parte del telefono c’è l’ingegnere di Fiuggi, Maurizio Cocco. Il 9 luglio scorso è stato scarcerato, dopo tre anni di detenzione nel carcere di Abidjan. Tuttora si trova in Costa d’Avorio. Deve aspettare ancora un po’ per tornare in Italia. Si sta sottoponendo a cure urgenti e importanti. La scorsa settimana è stato prosciolto da ogni accusa. Cocco era stato incriminato per riciclaggio e traffico di stupefacenti, accuse per le quali è stato assolto. Ma poi è scattata una condanna a due anni per evasione fiscale, pena che ha finito di scontare il 2 giugno 2024. Eppure era ancora in carcere in regime di detenzione preventiva per il processo d’appello. Servivano 150.000 euro per la cauzione. Cauzione pagata grazie soprattutto ai sacrifici della famiglia che non lo ha mai lasciato solo.

Come sono stati questi anni?

«Sono stati terribili. Non li auguro nemmeno al peggior nemico. Ho passato trentasette mesi di inferno e ogni giorno era come il giorno prima. I primi sette, otto mesi, ho dormito per terra. In condizioni assurde. All’inizio della carcerazione pensavo che sarei uscito quanto prima visto che ero innocente. Mi dicevo “vabbe’... domani esco. Non ho fatto nulla”. È stato traumatico. Stavo in una stanza con 200 persone, un solo bagno, anzi, un buco per terra. Ci si spogliava davanti a tutti. In un carcere per 3.000-4.000 persone eravamo in 15.000. Il cibo bastava per 2.000 persone massimo, quindi gli altri non mangiavano direttamente. Portavano del riso. Venivano utilizzati contenitori di plastica che erano stati usati anche per la pittura. Io ho avuto la fortuna che un mio amico italiano, che si trova in Costa d’Avorio, ha sposato la mia causa, quindi ogni dieci giorni mi mandava la spesa. Spesa che poi, però, veniva aperta e molti alimenti messi in buste di plastica. Alcuni cibi sono stato costretto a buttarli».

Come erano le condizioni in carcere?

«In alcuni periodi c’erano topi, calabroni, scarafaggi che camminavano sul letto. Pieno di cimici, tanto che una volta, mentre ero in tribunale, sono uscite addirittura dalla camicia. Assenza totale di servizi sanitari, era un miraggio anche farsi visitare. Una volta mi portarono in infermeria e mi legarono con una catena come un cane, attaccato alla spalliera del letto perché non era presidiata la stanza».

In queste settimane sta facendo controlli. Come si sente?

«Adesso sto abbastanza bene. Ho fatto gli accertamenti, le analisi. Sono stato ricoverato in ospedale i primi quattro giorni dopo la scarcerazione perché comunque avevo un’infezione alle vie urinarie. In carcere ho preso la malaria. Qualche giorno prima di uscire è scoppiata un’epidemia di colera, quindi ho fatto le analisi e i test per vedere se avessi qualcosa. Fortunatamente è andato tutto bene. Ho ancora molti dolori alla schiena e mi sono rimaste macchie nere, sembrano lividi ma non lo sono, e ancora non si riesce a capire di che cosa si tratti».

Ha mai perso la speranza?

«No, assolutamente. È quello che mi ha tenuto in vita. Non mi sono mai chiesto, tranne la prima settimana, dove stessi e perché stessi lì. Non me lo sono più chiesto perché ho capito che facendomi queste domande sarei impazzito e ho chiesto anche ai miei familiari di non chiedermi mai il perché di questa cosa. Per me era diventata una cosa normale svegliarmi e trovarmi in carcere senza aver fatto nulla. Ma non ho perso mai la speranza mai. Facevo coraggio ai miei familiari. Questa è stata la mia forza, la forza mentale, altrimenti non sarei uscito vivo, anche perché lì veramente si rischia di uscire fuori di testa. E non ho mai avuto paura. È importante riuscire a farsi rispettare dagli altri prigionieri. Molti danno gli ordini, fanno le perquisizioni. Io sono riuscito a farmi rispettare. Quello che mi ha fatto male è stata la totale assenza delle istituzioni italiane. Quella è la cosa che mi ha preoccupato maggiormente ma non solo per me, perché pensavo a tutte le persone che stavano nelle mie stesse condizioni. Sono tante quelle che non vengono assolutamente ascoltate e finiscono per essere condannate. Il mio appello era soltanto indirizzato a chiedere di leggere le carte, cosa che non è successa».

L’emozione provata quando è stato liberato?

«Una volta uscito, la prima cosa che ho fatto è stata chiamare mia moglie e i miei figli. Ho fatto una videochiamata. Un’emozione unica. Non riuscivamo a parlare. Piangevamo. Siamo stati più di due/tre minuti senza riuscire a parlare. Poi mi sono guardato attorno. Ho trovato una città diversa. In tre anni è totalmente cambiata, non riconoscevo nemmeno dove stavo. Nuove costruzioni, strade, cantieri... È stata un’emozione anche dormire in un vero letto, avere un bagno in camera con la doccia invece di un secchio di acqua fredda con cui lavarsi. L’emozione di poter dire esco a fare una passeggiata».

Quando pensa di rientrare in Italia?

«In settimana ho appuntamento per le pratiche del rinnovo del passaporto perché l’ho smarrito. Spero che non passi molto tempo per riaverlo. E se tutto sarà a posto tornerò presto in Italia».

Quale sarà la prima cosa che farà una volta tornato a casa?

«Riabbracciare mia moglie e i miei figli. I miei figli non li vedo da tre anni e mezzo. Abbiamo fatto videochiamate ma ho bisogno di stringerli. Voglio ringraziarli per tutto quello che hanno fatto per me. Grazie alla mia famiglia, grazie a mia moglie Assunta che non si è mai arresa. Voglio ringraziare anche il mio avvocato Mario Cicchetti che mi ha seguito gratuitamente. Non mi vergogno a dirlo perché i conti sono bloccati e quello che ha passato anche la mia famiglia in questi anni non è stato semplice. Grazie al mio amico che mi ospita, mi ha aiutato e sta aiutando come un fratello. Grazie agli amici e a tutte le persone che hanno creduto nella mia innocenza».

Il ruolo dell'avvocato

L’avvocato Mario Cicchetti ha preso la difesa dell’ingegnere Cocco a marzo. La cauzione inizialmente prevista per la scarcerazione era di un milione e mezzo che l’avvocato è riuscito a ridurre di dieci volte. «L’obiettivo che ci eravamo prefissi è stato raggiunto. La Corte d’appello di Abidjan ha dichiarato innocente Maurizio Cocco, ribaltando la sentenza di primo grado che l’aveva visto condannato e lo ha dichiarato totalmente estraneo a tutte le contestazioni che la locale procura della Repubblica aveva formulato».

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