Le note, le parole, la magia. A volte possono coesistere e trovare la formula alchemica dell’armonia. La sala della Villa Comunale di Frosinone è stata teatro di “Genova tutta la vita, (Faber, la musica, la poesia...)”, uno spettacolo musicale che ha avuto quali protagonisti Amedeo Di Sora in veste di regista nonché di voce cantante e recitante, Federico Palladini, cantante e chitarrista, e Massimo Campasso, percussionista.
C’era invero un altro grande artista, presente non in forma fisica, ma attraverso lo sterminato patrimonio di note, poesia e suggestioni, perché cantare e recitare Genova evoca in modo naturale Faber, all’anagrafe Fabrizio De André. Lui ha raccontato la “città vecchia”, quella dei disperati, abbarbicati a una speranza flebile eppur legati a quegli odori, a quelle viuzze e a quell’alone di mistero, meravigliosamente descritto in “Creuza de ma”.
Ha messo in note la storia di una ragazza sfortunata, uccisa e gettata nel Tanaro. Non potendo più cambiarle la vita, le ha reso più dolce la morte, trasformandola nella Marinella amata da tutti, non solo dal suo “re senza corona e senza scorta”.
Amedeo Di Sora ha regalato alla platea le singolari similitudini tra De André e Umberto Saba, anch’egli cantore di una città vecchia, Trieste. E, a proposito di poeti, ecco “Litania”, l’immortale poesia di Giorgio Caproni, recitata mirabilmente dal bravissimo attore frusinate.
Del repertorio “faberiano” Di Sora e Palladini hanno proposto tanti brani significativi, da quello malizioso e dissacratore di “Carlo Martello” alla malinconica e quasi struggente “Canzone dell’amore perduto”. C’è il De André che mette in note la sua amara ironia verso la cittadina bigotta che ghettizza “Bocca di Rosa”, e poi quello che indirizza il suo misticismo personalizzato a quel Dio di misericordia che dovrà accogliere nel suo bel Paradiso chi nella vita non è stato compreso. Fuor di metafora è Luigi Tenco, il possessore di “quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”.
E sembra quasi di vederli, quei personaggi cantati dal poeta e musicista genovese: sembra davvero di viverla quell’acqua fredda come un dolore che tutto travolge, meno l’amore di un illuso che materializza il suo sogno impossibile e attende la moglie di Anselmo, “perché l’amore ha l’amore quale solo argomento e il tumulto del cielo ha sbagliato momento”.
Nella serata dedicata a Genova c’è anche, e non poteva essere diversamente, “Sassi”, di Gino Paoli, perché la scuola genovese ha avuto altri interpreti illuminati. A cantare il capoluogo ligure è stato anche un astigiano, Paolo Conte, autore di un brano simbolo come “Genova per noi”, anch’esso riproposto dal trio di artisti che ha illuminato la serata frusinate.
Prima dell’arrivederci, una canzone di Federico Palladini, cantautore ispirato e sensibile, e una poesia di Amedeo Di Sora, tratta dall’ultimo lavoro, “Bagliori vespertini”.
Poi il bis, un ulteriore omaggio a Faber, alla sua poesia in note, a quella potenza evocativa che sa esaltare anche gli umili, e che proprio dagli umili trae forza e immortalità.
Perché Faber cantò l’uomo, con le sue debolezze, i suoi dubbi senza risposta e i suoi sogni senza confini. Ieri il cantautore genovese è tornato tra noi grazie ad Amedeo, Federico e Massimo. Serata magica e... Genova per noi.