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Sant'Elia Fiumerapido

“Bestiari e sudari”, la mostra dell’immaginifico cortile

Le opere recenti dell’artista siciliano Giampaolo Cataudella nello splendido scenario della chiesa di Santa Maria Maggiore

“Bestiari e sudari”, la mostra dell’immaginifico cortile

L'opera dell’artista siciliano Giampaolo Cataudella

Il luogo. Arroccamento di sassi bruniti ad incidere un perimetro secolare; tracce di intonaco pallido color vermiglio e avanzi di biacca, come giunture o nastri beneauguranti. A vista la radice semicurva dell’abside e l’ipotesi di una volta scivolata dabbasso o evaporata nel cielo di notte, come un alito o un gemito. Al centro una foresta di inconsuete figliolanze, sterpi, felci e parietaria ovunque come a turare gli aliti o gli spiragli. In questo luogo irriverente Giampaolo Cataudella ha deposto le sue “fiere”. Sono di paglia e ferro, di colle penetranti, all’occhio immateriali. Un bestiario inconsueto – finanche immaginifico – ordinato come milizia pronta all’incursione più che all’arrembaggio. Disseminata e celata in quel pantano irrespirabile, sospesa e stagnante come lo sono gli arbusti e le foglie, ovvero le nuvole sopra la volta inesistente.

Ecco la dinamica assordante di un “paesaggio metafisico”, nella cieca consapevolezza dell’attesa, di un indugio che accoglie a sé (in sé) il tempo e lo spazio, l’eco. Ma questi “rendiconti antropomorfi” che nascono da una realtà tutta virtuale (o l’assecondano) – cesellata per strati e corrispondenze dal nostro autore – si fanno di colpo attori e protagonisti di un “territorio” parallelo, corrispondente, eppure appartato rispetto ai precetti del tempo (il nostro) consueto. Tutto ciò ho visto. Come un testimone occasionale nel mezzo di un evento altrettanto occasionale: nel luogo, nella luce sommessa, nei miasmi di una palude remota. Con gli occhi di pasta vitrea che danno vita (e sgomento) alle “fiere”, alle loro movenze, alle immaginarie appendici dei loro corpi. Al pari di una transumanza spettrale le sculture lasciano – una ad una – questa macchia arcana per dirigersi in un altrove di rigori inediti: Santa Maria Maggiore, XII secolo si legge; una piccola chiesa che preserva – in una sconfinata razionalità – i volti e gli abiti del millennio scorso; i timori ancestrali, gli occhi offerti al Dio del tempo, le mutevoli trasparenze di un saio o di un corpo trafitto.

Ecco allora un nuovo “cortile di sembianze”, svuotato di ogni contaminazione, di ogni oscuro nascondimento. Le “fiere” si fanno ora modello in “transito” – meglio ancora in sosta – in uno spaesamento spaziale che ne ripristina il respiro, gli stratagemmi della forma suggeriti (o reinventati) dall’autore. Tutto appare – per aliti, luci, ombre – un altro continente, una nuova germinazione: immobili, come ad affollare un paesaggio interiore, quasi a trattenere – o a ricomporre – un’inedita geometria dell’anima, un appropriato spazio di emozioni. È qui, in questo luogo di silenzio custodito, che Giampaolo Cataudella costruisce una nuova e consapevole dimensione: di ascolto, di presenza, di sguardo. E le sue “fiere” – che sono in fondo i nostri dubbi e i nostri allarmi – si fanno di colpo processione temeraria, afflato, testimonianza.

Poi, negli spiragli enigmatici del nuovo sito, l’artista depone, come sudari sdruciti, quelli che potremmo definire i suoi “dipinti”, ovvero prospettive di lacci e cromie, fenditure di biacca e crepe d’ombra, piccoli e grandi riquadri di “dolore”, al pari di un pianto copioso o di incerti sollievi. Si ricompone allora – in questo luogo di equilibri e mutamenti – la storia artistica più recente di Giampaolo Cataudella, attento alla “realtà” che si fa, paradossalmente, lezione di appartenenza, di memoria. E di inattese misture.

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