Latina potrebbe avere un ruolo di primo piano nella lotta al Coronavirus. A confermarlo Aldo Braca, imprenditore del settore farmaceutico, patron della Bsp azienda leader nel terzismo farmaceutico con focus sugli antitumorali, che più e meglio di altre ha investito in questi ultimi anni rappresentando un vero e proprio miracolo di reindustrializzazione di un sito dismesso. Una catena di successi che oggi potrebbe dare ulteriori risultati grazie ad un committente californiano che, conferma Braca "potrebbe affidarci la produzione di un farmaco per la lotta al Covid 19" (farmaco, non vaccino, ndr) non a caso l'azienda si sta organizzando per avviare, se necessario, una linea produttiva "entro tre, quattro settimane".

Aldo Braca è schivo e non ama esporsi ma sa perfettamente, per esperienza e carattere, quello che dice. Non a caso il suo successo è legato a doppio filo con la concretezza – conti alla mano – di un piano che porterà entro i prossimi anni nuovi investimenti di milioni e milioni di euro. E non solo.

Lei ha certamente un osservatorio privilegiato visto che da moltissimi anni è impegnato nel mondo farmaceutico e, in qualche modo, della sanità. Cosa pensa di quello che sta accadendo, ma soprattutto di come questa emergenza è stata affrontata?
«Quello che è accaduto è qualcosa di unico che ha trovato tutti impreparati. Il punto è che ormai siamo tutti orientati a una visione di breve termine ed è talmente così che succede, ad esempio, che cade un ponte e nessuno se ne meraviglia perché è un fatto scontato vista la situazione. Sulla sanità è lo stesso: non abbiamo più medici di base, strutture ospedaliere adeguate, le nostre scuole non sono più quell'elemento che ci ha differenziato dal resto del mondo. Mi chiede se l'emergenza è stata affrontata nel modo opportuno? Beh, a questa domanda nessuno può rispondere. Diciamo che hanno fatto tutti del loro meglio, con la situazione che abbiamo sul piano organizzativo l'epidemia è entrata nelle strutture sanitarie e si è creato un corto circuito. Ma gli strumenti erano questi e dobbiamo riflettere sulle forze che avevamo a disposizione e su come la sanità degli ultimi anni, su tutto il territorio nazionale, è stata trattata».

Che idea si è fatto invece sul piano economico?
«Ad oggi non vedo dei piani di implementazione. Di tutte queste mezze notizie che ci arrivano dalle istituzioni, non ho ancora capito come dovrebbero allocare questo fiume di liquidità che viene promesso. Credo che per la maggior parte degli italiani l'opinione più diffusa è che se questo Coronavirus si fosse distribuito in modo più uniforme per gravità e velocità, e parlo per assurdo, forse la nostra comunità europea avrebbe avuto più sensibilità dei bisogni della gente. E invece cosa è successo: quando la finanza prevale sull'economia non ci si può aspettare di più».

Visto il suo ragionamento crede ancora nell'Europa così come la vediamo oggi?
«Io sono un europeista convinto, certo credo anche che così come la vediamo oggi l'Europa non esista. Non c'è ma non perché gli altri sono i cattivi e noi quelli sfortunati. Non vorrei essere frainteso: non c'è perché l'Europa di oggi è una accozzaglia, un insieme di culture completamente diverse che non sono mai state messe insieme con un minimo comune denominatore e tutto è basato esclusivamente sulle direttive della banca centrale. Ecco, una banca può costituire il solo elemento di unità? Ne dubito».

Pensa ci saranno dei cambiamenti sul piano degli investimenti su sanità e ricerca?
«Adesso noi siamo nel panico e quando si è nel panico si ripercorrono in modo abbastanza critico tutto sommato tutte le strade che se avessimo avuto ci avrebbero dato un aiuto determinante. Ci guardiamo indietro e cerchiamo di vedere cosa si può fare. Quando però il panico finisce accade che la memoria si perde, tutto si dimentica e ci si focalizza sulle cose che permettono di portare benefici a breve termine: ci si muove ad amplissimo spettro senza una linea di condotta precisa. Io sono convinto che la linea di ragionamento sarà purtroppo sempre quella di mettere investimenti nella ricerca senza una visione a lungo termine. Se ci sono i soldi bisogna capire dove spenderli, perché così diventa tutto più difficile».

E l'industria farmaceutica?
«Inutile che le dica che ora c'è la corsa al medicinale e quindi anche al vaccino. Ci sono delle proposte molto interessanti e i risultati, sono convinto, arriveranno presto. Il vaccino ha ancora comunque dei tempi molto lunghi. Se ci saranno dei cambiamenti? Lo spero, ma temo che quando questa emergenza andrà a scemarsi si ritornerà a comprare prodotti farmaceutici dalle nazioni che li forniscono a prezzi più bassi e a delocalizzare le nostre applicazioni tecnologiche nelle nazioni che operano al costo più basso di manodopera. Io non sono un pessimista, perché se lo fossi avrei fatto qualcosa di diverso e questo è evidente. Non vorrei però che si dia troppa enfasi a tutti i cambiamenti che qualcuno si aspetta ci saranno dopo il Coronavirus. Oggi ci si muove esclusivamente per ragioni di opportunità o emergenza, come in questo caso, ma non c'è alcun pensiero rivolto al futuro, all'analisi di cosa accadrà all'economia globale che è cresciuta per anni senza regole».

Guardando al nostro territorio: Latina come uscirà da questa emergenza?
«Noi abbiamo un distretto farmaceutico importante, ma che si sta modificando molto. Alcune tra le grandi farmaceutiche ormai sono andate o stanno per andare via e poi ci sono alcuni nuovi insediamenti come il nostro. Io sono sempre stato convinto che da momenti molto negativi possono nascere sempre delle idee nuove e positive; Latina è una provincia con tanti giovani e penso davvero che questi giovani potranno aiutare il nostro territorio ad esprimere dei fattori positivi. Leggevo proprio ieri un vecchio articolo del 1995 dove si parlava della fine della Cassa del Mezzogiorno e di una forte crisi del settore farmaceutico sul territorio. Attenzione: era il 1995. Cosa abbiamo fatto da allora fino ad oggi per cercare di far rimanere quelle aziende, perché forse potevamo fare qualcosa, non trova? Secondo me oggi più che mai occorre che qualcuno, che però sia capace di farlo, metta insieme una analisi accurata della situazione e veda con serietà e diligenza come cogliere e sviluppare i lati più promettenti di questo territorio. Ma parlo di uno sviluppo a lungo termine. Ecco, se saremo capaci di affidarci a qualcuno di davvero capace allora potremo cogliere le opportunità del momento».

Cerca qualcuno di capace. Pensa che la classe politica fino ad oggi non sia stata in grado?
«Avere qualcuno che sia capace ad analizzare la situazione e disegnare il futuro è una speranza, anche per me che ho una certa età. La classe politica, invece, a volte dovrebbe fare un passo indietro e dare un pochino di spazio a chi, magari, ha più esperienza per poter costruire sulla base delle potenzialità di un territorio un piano a lunghissimo termine. Lei ha mai visto un politico fare un piano a lungo termine? Io francamente negli ultimi decenni non l'ho mai visto. Normalmente vengono fatti piani che vengono consumati nell'arco di poco tempo in modo che la stessa classe politica che li mette in piedi ne possa avere dei benefici. Questo è sbagliato, la politica deve essere l'istituzione che attiva un piano sul lungo termine e questo va costruito con perizia così anche la politica farebbe meno errori. Invece oggi, diciamolo pure, non vedo niente di simile all'orizzonte».

Insomma, meno politica e più tecnicismo?
«Non parlo di tecnicismo, ma della capacità di mettere insieme progetti a lungo termine, di tracciare la strada maestra da percorrere in un territorio che vuole sviluppo».

E chi dovrebbe scriverlo questo piano?
«Chi è in grado di farlo, le assicuro che ci sono persone davvero capaci, anche qui. Andrebbe messa su una task force per strutturare la ripresa, almeno io farei così».

Abbiamo parlato del territorio, la sua azienda ha in carico centinaia di posti di lavoro e il futuro di molte famiglie, come va con i piani e i progetti anche durante questa emergenza?
«L'azienda che rappresento lavora regolarmente, tutti i nostri dipendenti sono stati messi in condizione di operare in sicurezza ormai da diverse settimane con mezzi e misure comportamentali molto restrittive. Stiamo dando sostegno alle famiglie che hanno figli piccoli. Sul piano della produzione, come noto, noi lavoriamo su farmaci antitumorali, sono insostituibili, mandiamo i nostri prodotti in circa settanta paesi nel mondo e non possiamo far mancare la produzione, perché per molti rappresenta una speranza di vita. Dobbiamo dunque lavorare e mantenere un rapporto costante con i nostri clienti che ormai sono in America e Giappone. Quanto sta accadendo è ovviamente fonte di confusione anche per molti clienti del nostro settore, alcuni di loro cancellano o ritardano per esempio sperimentazioni cliniche per via del momento che stiamo vivendo e del fatto che molti ospedali sono impegnati completamente sulla pandemia. Questo porterà in generale un po' di sofferenza, ma ora non vogliamo preoccuparcene: siamo convintissimi di poter sopravvivere senza candidarci all'utilizzo di risorse pubbliche che, oggi più che mai, preferiamo vengano destinate ad altri che in questo momento sono stati costretti a fermarsi. Insomma, se la situazione resta quella attuale non abbiamo intenzione di chiedere il sostegno delle istituzioni».

Dunque niente ammortizzatori sociali o altro.
«Ci abbiamo pensato, abbiamo messo in campo una grossa iniezione nella cassa della società nelle ultime settimane proprio per incrementare, e di molto, le nostre riserve in previsione di una crisi che non possiamo non valutare. Al momento non prevediamo alcun ricorso agli ammortizzatori sociali. Gli imprenditori devono chiedere solo quando hanno davvero bisogno di farlo. Noi pensiamo di farcela con le nostre mani e non vogliamo assolutamente sottrarre risorse a chi ne ha più bisogno di noi».

Lei ha confermato che la sua azienda, ad oggi, ha un fatturato di 160 milioni di euro e conta 700 dipendenti. Conferma i piani di sviluppo per i prossimi anni?
«Assolutamente sì. Uno dei motivi per cui abbiamo fatto una iniezione di cassa è perché noi i nostri lavori di ampliamento li facciamo con piccole ditte locali. Ne abbiamo tante. Al momento, ad esempio, abbiamo 150 persone di imprese locali che lavorano, emergenza permettendo e soprattutto con altissimi livelli di sicurezza. Essendo piccole aziende potrebbero anche loro andare in sofferenza di cassa, è ovvio che per i piccoli questo momento è più difficile e in alcuni casi abbiamo anche previsto di anticipare a queste ditte esterne i pagamenti proprio per contribuire a tenerle in vita».

Visto che gli investimenti vanno avanti, prevedete altre assunzioni da qui a cinque anni?
«Prevediamo almeno altre 500 assunzioni. Con un investimento complessivo, da quando siamo nati circa dodici anni fa, di circa 450 milioni di euro».

Pensate di investire nel settore della ricerca? Anche per il Coronavirus?
«Non posso spiegare molto ma proprio in questo momento stiamo lavorando con un partner californiano che sta studiando una terapia per il Coronavirus. Per questo ho un impianto pronto a partire entro poche settimane, ovviamente se tutto funziona sul piano dell'iter autorizzativo. Ci stiamo lavorando perché parliamo di un prodotto che, se autorizzato, è ad altissima potenza con standard che noi siamo in grado di garantire come nessun altro in questo momento».

Quindi se arriva un ok dalla California siete pronti a produrre un farmaco per la lotta al Coronavirus?
«Se ci arriva l'ok e l'iter autorizzativo procede bene noi abbiamo già allestito tutto. Abbiamo bisogno di qualche settimana per avviare la produzione».

Ha analizzato la questione, parlato di investimenti, fatto riflessioni sul presente e sul futuro. Se la vediamo alla larga, tutto ruota intorno alle scelte politiche, indubbiamente. Vuole dare un consiglio alla classe politica?
«Consiglierei di avere un pochino di umiltà, di fare un passo indietro quando necessario, per dare più spazio a chi è in grado di studiare una strategia di ripresa nel lungo termine. Perché questo è fondamentale».

Scusi ma ha proposte su chi dovrebbe studiare questi progetti da mettere in campo? Chiarito che la classe politica dovrebbe affidarsi a qualcuno.
«Io chiederei aiuto ad un gruppo di imprenditori, di economisti. Tutti devono dare il loro contributo, purché non sia politicizzato. Noi ci meravigliamo che i cinesi abbiano allestito un ospedale in venti giorni. Beh, io avevo dieci anni quando nel ‘58 in Italia e non in Cina, aprirono i cantieri dell'Autostrada del Sole. All'epoca la nostra classe politica si rese conto che se si voleva correre bisognava incrementare proprio la velocità di trasferimento delle cose, delle merci, e in pochi anni l'autostrada venne realizzata. Il problema è che siamo fermi ad allora perché da allora non c'è stata più una visione a lungo termine. Ecco perché credo che serva una task force che disegni il futuro e che la politica debba mostrare umiltà per farsi indirizzare nelle scelte».

Quello che dice vale anche a livello locale, ovviamente.
«Certo che si».

E lei sarebbe disposto a far parte di questa task force?
«Ci sono molti giovani capaci. Però sulla questione locale ci tengo a sottolineare una cosa. Quello che ho fatto io potevo farlo solo da noi, perché questo territorio è prezioso e la gente non se ne rende spesso conto. Sa perché è prezioso e perché non sarei riuscito a mettere su l'azienda in nessuna altra parte d'Italia? Perché con la Cassa del Mezzogiorno, quando anche la farmaceutica si è insediata in queste zone, è nato un indotto prezioso nella meccanica elettrostrumentale. Ecco, oggi questo indotto di conoscenze, di capacità, di professionalità straordinarie rischia di morire. Negli anni abbiamo cercato direttamente, come società, di riprendere molte piccole aziende locali, stiamo cercando di sostenerle anche aiutandole a lavorare per altri. Ci sono professionalità incredibili che non esistono altrove. Nella mia vita ho avuto impianti in tutto il mondo, ma da nessuna parte c'era questa gente. Ecco: ripartiamo dalle imprese locali e dalle loro capacità».