Cerca

L'intervista

Disturbi del comportamento alimentare: «Riconoscerli è il primo passo»

Anoressia, bulimia e binge eating i più diffusi. Il punto con la nutrizionista Alice Del Vecchio

Disturbi del comportamento alimentare: «Riconoscerli è il primo passo»

Anoressia e bulimia sono i più conosciuti, ma non sono gli unici disturbi del comportamento alimentare. Conoscerli, e riconoscerli, è il primo passo per intraprendere un percorso di guarigione. Sono diverse le figure professionali alle quali ci si può rivolgere per ricevere un aiuto adeguato e personalizzato. E grazie a un approccio multidisciplinare è possibile affrontare non soltanto il proprio rapporto con il cibo, ma anche le cause profonde del disturbo, per poter ristabilire una condizione di equilibrio, salute e serenità. Ad affrontare l’argomento in un’intervista la dottoressa Alice Del Vecchio, biologa nutrizionista, esperta di disturbi del comportamento alimentare.

Dottoressa Del Vecchio, partiamo dalle basi: quali sono i disturbi del comportamento alimentare più diffusi?

«I disturbi del comportamento alimentare, o Dca, sono patologie vere e proprie, riconosciute dal DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ndr). Le forme più conosciute sono anoressia, bulimia e binge eating disorder o disturbo da alimentazione incontrollata».

Come si caratterizzano?

«L’anoressia è caratterizzata da un controllo estremo dell’alimentazione: la persona riduce drasticamente l’apporto calorico fino quasi a non mangiare più. La bulimia, invece, è segnata da abbuffate seguite da condotte compensatorie come il vomito o l’uso di lassativi. Nel binge eating, infine, le abbuffate ci sono ma mancano i comportamenti compensatori, e ciò porta spesso a un aumento di peso. La bulimia, infatti, può anche presentarsi in soggetti perfettamente normopeso, mentre molto spesso il binge eating è proprio di persone sovrappeso od obese».

Oltre ai disturbi più noti, esistono altre forme di disagio legate al cibo?

«Sì, ce ne sono altre due tra le più diffuse: la vigoressia e l’ortoressia. La vigoressia colpisce chi sviluppa una vera e propria dipendenza dall’attività fisica. Se non si allena, la persona che ne soffre si sente in colpa o in ansia. Spesso, inoltre, associa a questo comportamento un uso eccessivo di integratori proteici. L’ortoressia, invece, è l’ossessione per il “mangiare pulito”: solo alimenti bio, senza conservanti, senza additivi. È un controllo estremo che toglie libertà e serenità nel rapporto con il cibo e con gli altri. Spesso, queste persone sono normopeso o in ottima forma, ma dentro vivono in una condizione di forte rigidità mentale».

Quindi c’è anche una perdita di socialità?

«Sì, moltissima. Il cibo, nella nostra cultura, è anche un momento di condivisione. Chi non riesce più ad andare a cena fuori o a mangiare una pizza con gli amici vive un isolamento sociale importante. A volte l’ansia nasce proprio dall’idea di trovarsi in queste situazioni di convivialità».

Come si riconosce invece il binge eating?

Il binge eating è un disturbo caratterizzato da abbuffate frequenti, ma ciò che lo distingue è che la persona mangia quasi sempre da sola, spesso di nascosto, in macchina o durante la notte. Per questo è raro che qualcuno possa osservare direttamente queste abbuffate. Un professionista può però individuarlo attraverso domande mirate e osservazioni attente. Anche se non è l’unica possibilità dietro una persona obesa potrebbe esserci questo tipo di patologia. Il primo passo è scoprirla e il secondo è rendere consapevole la persona del suo comportamento, poiché chi soffre di binge eating spesso non ne ha coscienza. A differenza dell’anoressia e della bulimia, che sono più facilmente riconoscibili, questi ultimi disturbi richiedono una forza di volontà meno intensa. Il corpo tende naturalmente a mangiare, e sopprimere il senso di fame è difficile, a differenza delle persone con anoressia o bulimia, che riescono invece a controllarlo, compiendo delle scelte volontarie. Chi soffre di alimentazione incontrollata spesso cede al cibo, identificandosi con esso. In questo caso il cibo non è percepito come nemico, come nell’anoressia o nella bulimia, ma come amico e consolatorio».

La stessa persona può soffrire di diversi disturbi?

«Le classificazioni che ho dato, vengono usate soprattutto da un punto di vista di diagnostico e di terapia, però molto spesso il nucleo della patologia rimane, mentre cambia il modo in cui si manifesta. I disturbi del comportamento alimentare, quindi, possono cambiare nel tempo. Una ragazza anoressica, per esempio, può passare a una fase bulimica o viceversa, o dalla bulimia si può passare al binge eating. Sono percorsi in cui ogni tanto si vede l’apice».

Nell’anoressia e nel binge eating il peso è un campanello d’allarme, mentre lei ha spiegato che persone che soffrono di bulimia spesso sono normopeso. Quali sono, quindi, gli aspetti da individuare per la diagnosi?

«Ci sono però piccoli segnali che possono far intuire la presenza del problema: per esempio, l’ingrossamento delle ghiandole salivari dovuto alla produzione eccessiva di succhi gastrici durante il vomito, oppure denti più sottili e fragili a causa dell’acidità. Purtroppo, questi sintomi compaiono solo dopo che il disturbo è presente già da tempo. Oltre ai segni fisici, si possono cogliere indizi nel comportamento: il modo in cui la persona si veste, quanto tende a esporsi o a nascondersi, e persino i modelli estetici a cui si ispira. Le persone con bulimia sono spesso molto sensibili agli standard imposti dalla società e al giudizio degli altri.Sono proprio questi aspetti, come il bisogno di conformarsi, la paura del giudizio e i cambiamenti nello stile alimentare o nel peso, che dovrebbero allarmarci per primi, anche prima dei segnali fisici».

Negli ultimi anni si parla di Dca anche nei bambini. È davvero così?

«Purtroppo sì. Dopo il periodo del Covid abbiamo iniziato a vedere casi di disturbi già a 6-7 anni. Negli adolescenti e negli adulti il disturbo è spesso legato all’immagine corporea, mentre nei bambini è più una manifestazione di disagio emotivo. È una manifestazione di un malessere, che può essere del bambino che non vuole crescere o del bambino che a casa ha situazioni un po’ disfunzionali, di quello che risente tanto, per esempio, dell’ansia che può avere a scuola. Per fare un esempio, il non voler fare colazione prima di andare a scuola può essere un allarme sul quale si deve soprattutto lavorare da un punto di vista psicologico».

Nella maggior parte dei casi di Dca si manifestano nell’adolescenza, ma qual è l’approccio quando si protraggono nell’età adulta?

«Più il disturbo dura, più diventa radicato. Lavorare con un’adulta significa smontare convinzioni costruite in anni, e non è facile. Quelle convinzioni fanno parte dell’identità della persona. Per questo serve un approccio multidisciplinare, che veda impegnati nutrizionista, psicologo, endocrinologo, ginecologo. I disturbi sono vere e proprie patologie che si possono curare e per questo, anche da adulti, bisogna chiedere aiuto per poter vivere bene, prima di tutto con se stessi».

Edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione