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La discarica

Via Le Lame, sì alla Provincia

Il Tar respinge i ricorsi di Comune e Saf sul riparto di responsabilità nella contaminazione del sito. Annullata l’ordinanza di piazza Gramsci solo nella parte in cui intima un intervento di messa in sicurezza

Via Le Lame, sì alla Provincia

Bonifica della discarica di via Le Lame, via libera del Tar all’individuazione dei responsabili dell’inquinamento (Comune, Saf e Reclas) e alla ripartizione del contributo fatta dalla Provincia. Annullata, invece, la diffida agli stessi «ad adottare gli interventi di messa in sicurezza e bonifica del sito», ora inserito nel Sin del Bacino del fiume Sacco e incluso nell’Accordo di programma. Respinta la richiesta risarcitoria del Comune di Frosinone. Ha così sentenziato il Tar di Latina sui due ricorsi presentati dalla Società ambiente Frosinone (Saf) e dal Comune di Frosinone contro l’ordinanza del 18 ottobre 2024 emessa dal dirigente del settore Ambiente della Provincia di Frosinone, ordinanza di diffida nei confronti dei responsabili del superamento dei valori di concentrazione della soglia di contaminazione su via Le Lame. L’amministrazione di piazza Gramsci individua come responsabili della contaminazione il Comune di Frosinone nella misura del 60%, la Reclas (società in fallimento) per il 25% e la Saf per il 15%. Al tempo stesso la Provincia li diffida ad avviare entro 180 giorni gli «interventi di bonifica e ripristino ambientale».
L’ordinanza è stata impugnata davanti al Tar dal Comune, rappresentato dall’avvocato Alberto Fantini, e dalla Saf, per il tramite dell’avvocato Pasquale Cristiano, mentre la Provincia di Frosinone, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi, è stata difesa dagli avvocati Mariacristina Iadecola e Teresa Ardovini.

La storia del sito
Nella sentenza il Tar inizialmente fa la cronistoria della discarica, entrata in attività per la raccolta degli Rsu della città di Frosinone nel 1956, operativa fino al 2002 e composta da più bacini. Il terzo di questi è stato riattivato, tra il 2001 e il 2002, per la ricezione dei sovvalli di frazione secca provenienti dall’impianto di riciclaggio dell’allora Consorzio volontario del Basso Lazio di Colfelice. Riapertura concessa dalla Regione Lazio su sollecito della Provincia. Dal 1956 al 1998 il sito è stato gestito dal Comune, poi c’è stato uno stop fino al 2001 e alla conseguente riattivazione. Il Comune, pertanto, è riconosciuto dall’ordinanza, responsabile della contaminazione, per il 60%, per i rifiuti depositati fino al 1998 e per la mancata adozione, durante la gestione diretta, e dopo la chiusura del 2002, «di idonee misure di tutela e ripristino ambientale volte a prevenire e contenere la diffusione dei contaminanti e la compromissione delle matrici ambientali» nonchè per violazione degli obblighi di gestione operativa e post-operativa. La Reclas è ritenuta responsabile per il 25% della contaminazione per i rifiuti depositati in discarica tra il 2001 e il 2002 , per la «fuoriuscita del percolato in aree esterne alla discarica» e per la non adozione di «misure di tutela e ripristino ambientale» per prevenire la contaminazione. La Saf, nata dalla trasformazione del Consorzio volontario del basso Lazio nel 2004, pur essendo un soggetto giuridico diverso dalla Reclas, ne «ha conservato tutti i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione del consorzio, subentrandogli nei rapporti attivi e passivi». Così, alla Saf è contestata la contaminazione per il 15% per i rifiuti degli anni 2001-2002 e «per l’inadeguatezza delle misure adottate, durante la gestione delle opere realizzate nella discarica e dopo la sua chiusura».

Le motivazioni
Il Tar chiarisce che, in base al codice dell’ambiente, la procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale è di competenza del ministero dell’ambiente sentito il ministero dello sviluppo economico. Da qui ne discende che il procedimento attivato dalla Provincia è «conforme al dettato legislativo». E ciò perché «la Regione o, nel caso dei Sin, il ministero curano la fase di autorizzazione, controllo e supervisione degli interventi di bonifica, mentre la Provincia interviene a monte, individuando “con ordinanza motivata” il soggetto responsabile e diffidandolo “a provvedere”». Più concretamente - scrivono i giudici - l’esercizio del potere della Provincia di Frosinone «di individuazione dei soggetti responsabili della contaminazione del sito, deve ritenersi pienamente legittimo». Ma, «non altrettanto può dirsi della conseguente diffida posta a carico dei soggetti responsabili ad avviare entro il termine di 180 giorni gli interventi di bonifica». Per il Tar, essendo ormai in fase avanzata il procedimento di bonifica di competenza ministeriale (il 10 febbraio è iniziata l’attività secondo il piano di caratterizzazione) la diffida sarebbe giustificata solo «in una fase prodromica» ma non al punto in cui la bonifica è «in corso di esecuzione». Nei Sin, gli interventi di bonifica «sono prescritti con decreto del ministero dell’ambiente e rientrano nella sua competenza».
Da qui la scelta del Tar di accogliere il ricorso del Comune di Frosinone, ma solo nella parte in cui contiene la diffida ad avviare la bonifica, mentre l’ordinanza è «pienamente legittima nella parte in cui la Provincia ha esercitato la propria competenza nell’individuare i soggetti responsabili della contaminazione, ai fini del riparto della responsabilità tra gli stessi, dal punto di vista economico».

Per il Tar, nel respingere le contestazioni di Comune e Saf, il procedimento è «pienamente legittimo». E lo scrive: «Il tempo decorso, dall’avvio del procedimento (23 febbraio 2023) all’atto di emissione dell’ordinanza con cui la Provincia ha definitivamente stabilito il riparto delle responsabilità tra i soggetti storicamente coinvolti nella gestione del sito è un tempo congruo data la complessità del procedimento, dell’attività istruttoria svolta, dei termini assegnati alle parti per l’invio di osservazioni e memorie, procedimento peraltro non soggetto ad alcun termine perentoriamente fissato dalla legge».
Il Tar sottolinea poi che nel procedimento, sulla base delle indicazioni della Corte di Giustizia Ue, «deve escludersi l’applicabilità di una impostazione “penalistica” (incentrata sul “superamento del ragionevole dubbio”)» in favore di quella civilistica del “più probabile che non”».

Per il Tar, rispondendo ai rilievi della Saf, «non corrisponde al vero né che l’ordinanza non rechi l’indicazione delle condotte, attive ed omissive, contestate a Saf, né che Saf starebbe rispondendo per condotte di altri e non proprie». E cioè: il conferimento dei rifiuti, «sebbene materialmente eseguito da Reclas, è stato svolto per conto del Consorzio basso Lazio, cui Saf è subentrata, quale successore in tutti i rapporti attivi e passivi». Sul versante della quantificazione del danno, il Tar precisa: «la valutazione operata» dalla Provincia «non appare affetta da alcun vizio manifesto che solo potrebbe portare all’annullamento della valutazione discrezionalmente svolta». Rigettate pure le richieste del Comune di Frosinone di una diversa ripartizione delle quote di responsabilità. Tanto più che i giudici evidenziano: «legittimamente la Provincia ha ritenuto probabile che nei primi trent’anni di attività di stoccaggio dei rifiuti presso la discarica non vi fosse uno strato impermeabile nel sito». Tra l’altro, sottolineano ancora i magistrati, il Comune è stato incaricato della bonifica «quale “soggetto responsabile dell’inquinamento del sito della discarica” e per tale ragione ha richiesto e ottenuto, a partire dal 2001, finanziamenti per circa 8,5 milioni di euro». In più «dalla chiusura della discarica avvenuta nel 1998 al 2001 il Comune non risulta aver adottato alcuna misura di messa in sicurezza».

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