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L'intervista

Francesca Spaziani Testa: ecco come ho realizzato il mio sogno

Con la giornalista di Rai Sport parliamo di come è cambiata l’informazione

Francesca Spaziani Testa: ecco come ho realizzato il mio sogno

Francesca Spaziani Testa nella redazione di Ciociaria Oggi

Volto noto di RaiSport, la frusinate Francesca Spaziani Testa può ben dire di aver realizzato il suo sogno nel cassetto. Tutti ne abbiamo, ma per la maggior parte restano aspirazioni inappagate, foglie secche nel cuore. Francesca invece l’ha inseguito e raggiunto, quel sogno di raccontare lo sport per professione, dinanzi a platee importanti.

Come, quando e perché?
«Sì, fin da bambina sognavo di fare la giornalista sportiva e ho fatto di tutto perché questo mio progetto assumesse forma compiuta. Siccome sono abituata a pensare sempre più in grande, ad esser pignoli c’è ancora qualcosa che devo raggiungere. Non posso certo dire che quel che è arrivato sia stato casuale, semmai è la televisione ad essere arrivata senza che io la cercassi, ma quel sogno ancora irrealizzato riguarda curiosamente proprio la Tv».

Prima di raccontare lo sport, lo hai anche praticato in età giovanile?
«Certamente. Ho iniziato da piccola con il nuoto, anche agonistico, poi grazie alla scuola e al Liceo Scientifico ho iniziato a giocare a basket, con una lezione sul terzo tempo che fece da trampolino. Poi ho anche giocato per hobby a pallavolo e a tennis. Curiosamente non ho mai giocato a calcio, se non in cortile, perché purtroppo erano altri tempi».

Cosa ricordi della Francesca adolescente e del tuo rapporto con Frosinone?
«Era l’epoca in cui si passeggiava su in Provincia, si facevano le cosiddette “vasche”, ma ogni angolo della città per me evoca un ricordo, ed è normale che sia così».

Hai iniziato a scrivere di Sport su Ciociaria Oggi. Da qui alla Rai, ci racconti le tappe intermedie?
«Sarebbe lunghissimo. C’è la carta stampata, c’è la radio, poi c’è la televisione in cui m’imbatto per caso, in qualità di ospite di una trasmissione televisiva. Da lì mi ritrovo a Dahlia TV, poi anche a Sky e infine, passando anche per ulteriori esperienze di carta stampata, arriva il concorso Rai per giornalisti professionisti che io faccio e vinco. Ed eccomi qua».

Qualche anno fa si faceva fatica ad uscire da uno stereotipo, stante il quale alle donne non fosse consentito d’interessarsi di calcio perché non era nelle loro corde capirne le dinamiche. Cos’è rimasto di questo datato convincimento?
«Sicuramente molto è cambiato, ma ritengo che il cambiamento, almeno in parte, sia più apparenza che sostanza, in particolare per il giornalismo televisivo, perché per radio e carta stampata le cose sono un po’ diverse. Tutto ruota ancora intorno al preconcetto che il primo depositario della verità in ambito calcistico sia l’uomo e i modelli che si creano intorno a lui sono funzionali a questo sistema».

Cosa accade allora in concreto?
«Oggi c’è molta confusione sul concetto di giornalista sportiva televisiva. In particolare con l’avvento dei social ci sono situazioni nelle quali, prima e a volte a prescindere dalla competenza e persino dall’essere giornalista, viene richiesta una bella presenza, una bellezza magari appariscente, con tanto di numero di follower sui social. Precisiamo: la bellezza non può essere un problema, ci mancherebbe altro. Ma non deve neanche essere qualcosa che mette in secondo piano preparazione, gavetta e credibilità».

Quanto è difficile essere asettici e mostrare terzietà in un racconto sportivo? Lo sport si approccia inizialmente per passione ed è normale che si possano sviluppare simpatie, ma poi per la professione è opportuno ed essenziale nasconderla. Abbiamo scoperto solo dopo l’ultima radiocronaca che Ciotti fosse della Lazio…
«Avere una simpatia per una squadra è una cosa normale. È l’ostentazione di quel tifo che ti fa perdere credibilità. E per quanto tu possa sforzarti, la credibilità non la recuperi mai davvero. A me viene assolutamente naturale prescindere dal tifo quando sto lavorando. E se non fosse così, non avrei mai potuto fare il lavoro che faccio».

E veniamo a una squadra che per ragioni anagrafiche sei autorizzata a tifare. Parliamo ovviamente del Frosinone e del suo incredibile percorso nel salotto buono del calcio. Venti anni di calcio ad altissimo livello del Frosinone. Come la vivi?
«Per ragioni anagrafiche per me è qualcosa di grandioso. Io ho visto il Frosinone fallire e per quelli della mia generazione, e ancor più per quelli un po’ più grandi di me, pensare al Frosinone in serie A poteva essere soltanto un sogno. Vederlo costantemente in B e con capatine in massima serie è un qualcosa che mi porto nel cuore non solo per ragioni di appartenenza al territorio ma perché è una di quelle storie in cui l’impossibile diventa possibile».

Un po’ come lo scudetto del Verona dell’85?
«Esattamente. Io adoro queste storie, sono il sale dello sport, la parte più bella, che rapisce l’immaginazione. Davide che batte Golia nello sport è raro, ma non impossibile».

L’Italia sta perdendo terreno in Europa. Da una posizione egemone, con tre semifinaliste in Champions, all’attuale situazione, in cui la Premier e altri campionati esprimono formazioni di punta decisamente più forti delle nostre. Solo un momento o il calcio sarà sempre più il calcio degli sceicchi?
«Direi che le proprietà straniere ci sono anche in Italia. Se la Premier ha ricavi nemmeno immaginabili in Italia, è questione di gestione del calcio e di approccio alla gestione stessa. Se la Premier vive in una certa maniera è perché ha fatto determinate scelte, spesso interpretando meglio il futuro e puntando su cose premianti: hanno un senso della commercializzazione del calcio che porta l’ultima della Premier a prendere, quanto a diritti TV, più della nostra prima. Il momento che vive l’Italia è questo, di estrema difficoltà. È necessario ripensare delle cose, ci sono persone preposte ma quanto si abbia il coraggio di scommettere sul futuro non mi è dato saperlo».

Lo sportivo che hai amato di più o comunque quello più iconico in Italia e nel mondo?
«Nella mia mente compaiono così tanti sportivi che stilare una classifica di merito mi sembrerebbe ingeneroso e ingiusto verso alcuni immensi protagonisti dello sport. Non fa proprio parte del mio modo di pensare quello d’istituire a tutti i costi una gerarchia. Prendiamo ad esempio Pelè e Maradona. Per me sono entrambi straordinari, non è necessario dire chi sia più bravo, perché entrambi esaltano il senso estetico e l’anima romantica del calcio».

L’intervista che ti è più piaciuta?
«Quella che ancora devo fare».

Segui da due anni l’Under 21 e di recente hai condotto trasmissioni sugli Eurobasket, che termineranno domenica. Sensazioni?
«All’Under 21 mi sto affezionando, avendo seguito l’intero biennio di questa formazione giovanile. Peraltro in occasione della fase finale in Slovacchia ho avuto la possibilità della conduzione in campo. Analoga esperienza avevo fatto in Europa League da San Siro e dall’Olimpico, e l’effetto è sempre un po’ particolare, considerando che intorno a te c’è uno stadio pieno. Quanto all’Eurobasket, è stata un’esperienza davvero molto bella, nell’ambito di una disciplina che da sempre mi appassiona e che come ti ho detto ho anche praticato in età giovanile. Mi piace fare cose nuove ed avere sempre nuovi stimoli».

Usciamo dal rettangolo di gioco e veniamo a una qualità di Francesca che non tutti conoscono, perché lei sa anche cantare in modo quasi professionale… Puoi dirci quale potrebbe essere la colonna sonora della tua vita?
«Funziono meglio come giornalista che come cantante. Per quanto io ami il rock, la colonna sonora della mia vita è… la colonna sonora della mia vita, cioè è fatta da una serie di canzoni. Se vuoi posso citartene un paio, alle quali posso essere affezionata. Da piccolissima insistetti molto con mio padre per avere il disco di Run To Me di Tracy Spencer e poi quando da adolescente sognavo di realizzare i miei sogni guardavo in continuazione il film “Una donna in carriera”, nella cui scena finale c’è la canzone “Let The River Run”. Il minimo comun denominatore è “run”, cioè la corsa, ed io nella vita ho sempre corso».

Verso quale traguardo?
«Questo alla fine forse lo capirò, sebbene a volte la colonna sonora potrebbe essere quella del brano degli U2 “Running to stand still”, cioè hai l’impressione di correre restando fermo, che è una sensazione non rara».

Quale valore vuoi trasmettere a tuo figlio Federico qualche insegnamento più importante?
«In una parola può essere complesso ma neanche tanto perché c’è una parola che racchiude un po’ tutto ed è amore. L’amore racchiude passione, educazione, rispetto e onestà. Poi, pensando al fatto che il piccolino sta iniziando a praticare sport, sto cercando di insegnargli che nello sport si cerca di vincere ma che la vittoria più importante è divertirsi».

La professione giornalistica tende ad assorbirti anche fuori dalle redazioni e dagli orari di lavoro. Come ti difendi da questo e come riesci a non farti schiacciare da questo lavoro che è sicuramente particolare?
«Ci riesco pensando costantemente al fatto che fare la giornalista sportiva è certamente la cosa più bella del mondo ma che la vita è fatta e deve essere fatta anche di altro. La vita non può essere una sola cosa. Ci sono rinunce e sacrifici e io sogno un po’ per due, perché porto avanti il sogno mio e quello di una persona che non c’è più. Nello stesso tempo però penso che la vita non debba esaurirsi ad essere questo».

Collegato al lavoro c’è anche talvolta il viaggiare. Ti piace fare l’inviata o lo fai con una certa riluttanza?
«Anzitutto io non sono un’inviata, anche per scelta. Mi destabilizza l’idea di dover essere un po’ qui e un po’ lì, proprio perché va in conflitto con le altre cose importanti della vita. Mi fa piacere farlo ogni tanto ed è bello, ma mi conforta che non sia la regola. Però devo confessarti che viaggiare di frequente mi procurerebbe qualche patema anche in relazione al mio rapporto non idilliaco con gli aerei».

Se non c’è un brano, ci sarà un colore. Qual è il colore della tua vita?
«Non ho dubbi: il rosso. È amore e passione ed è un colore vivo».

E il tuo futuro come lo immagini?
«Anche qui ho un’immagine nitida: lo vedo sempre fatto di sogni e di sfide, senza mai smettere d’imparare». La chiacchierata finisce qui: Francesca Spaziani Testa, giornalista Rai, torna, naturalmente di corsa, alle telecamere, ai microfoni. Ci sono partite e storie da raccontare, con impegno e professionalità. E un sogno ancora vivo e pulsante nel cuore.

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