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La sentenza

Easy Life, no al maxi risarcimento: il Tar respinge l'azione

La proprietà chiedeva un risarcimento da 12 milioni di euro: nessun danno da parte del Comune

Easy Life, no al maxi risarcimento: il Tar respinge l'azione

La discoteca Easy Life

Easy Life, no al maxi risarcimento chiesto dalla proprietà al Comune: il Tar respinge l’azione.
La proprietà del locale ha proposto un’azione di responsabilità contro il Comune di Fontana Liri «per il risarcimento dei danni patiti» dall’ordinanza del 30 gennaio 2012 che annullava d’ufficio le concessioni edilizie, esprimeva parere negativo sul condono e ingiungeva la demolizione dei manufatti ritenuti abusivi.

Nel frattempo, il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto un precedente appello della società «nella parte in cui si riferisce all’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi». Così il Comune ha disposto la revoca dell’ordinanza urbanistica, da qui la richiesta risarcitoria presentata dalle società Kais, Easy Life e Wiva con due ricorsi. Queste lamentano di essere state private del bene per 12 anni con un danno da 5.123.177 euro di mancato utile e 7.041.460 euro per l’ammaloramento.
Un primo ricorso è stato ritenuto dal collegio in parte estinto («per intervenuta rinuncia») e in parte infondato nel merito. Il secondo ricorso è stato giudicato «infondato nel merito». Per il Tar «la domanda di risarcimento danni è destituita di qualsivoglia fondamento».

E ancora: «manca la compiuta prova del fatto illecito». Non c’è stato «uno spossessamento del bene» sicché «alcuna confisca risulta essere mai stata disposta da parte del Comune di Fontana Liri», scrivono i giudici. Il complesso «non risulta essere mai stato acquisito al patrimonio disponibile dell’ente». Quindi non c’è collegamento - per il Tar - tra «lo stato di degrado dell’immobile o il suo mancato sfruttamento commerciale» e la condotta del Comune «in relazione alla vicenda urbanistico-edilizia». E più avanti: «è stato il provvedimento cautelare dell’autorità giudiziaria ordinari ad averle legittimamente inibito sia lo sfruttamento commerciale dell’immobile» sia «la conservazione». Evidenziati anche «gravissimi profili di inagibilità dei locali». Da qui la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese per 20.000 euro in favore del Comune, rappresentato dall’avvocato Massimo Cocco.

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